Dall’Accademia fino ai confini del mondo


La cuccagna

io conduco.

Braci. Cenere.

Sambuco.

Lana. Donna.

Qui si gela.

Neve. Lume

di candela.

Botte. Orzo.

Pietra piatta.

Vento e acqua…

 

 

 

 


Finalmente, fatemi un applauso, sono riuscita a terminare questo secondo libro di una trilogia fantasy meravigliosa. Voi direte, ma come, ci hai messo quasi un mese per leggerlo? Come minimo deve essere stato lento e noioso. Non è così, per nulla. Innanzitutto è lunghissimo, oltre mille pagine di libro; secondo luogo, contemporaneamente ho letto altre cose; e terzo, ho un grande vizio – veramente più di uno quando leggo: se il libro mi piace, o tendo a leggerlo tutto in una volata, in una notte, pochi giorni, o altrimenti spero che non finisca mai. In questo caso ho optato nel farlo durare il più a lungo possibile; perché questo? Ahimè, l’ho fatto per un semplice motivo: il terzo non ho idea di quando esca, e ora, a tempo indefinito mi arrovellerò nella curiosità di scoprire cosa accadrà a questi personaggi di cui mi sono innamorata follemente.

Dunque, cosa dire di questo libro e del suo autore? Dell’autore nulla, ho scritto quel poco che ho trovato sulla recensione del primo libro, che linkerò qui, più per pigrizia che per altro. In quanto alla trama e a cosa penso del libro ve lo dico subito.


 

 

 

 

La Paura del Saggio

 

 

 

 

Titolo: La Paura del Saggio

Autore: Patrick Rothfuss

Editore: Fanucci Editore

Prezzo: 20.00 euro

 

 

 

 

Trama

 

 

 

 

“Ho passato così tanto tempo della mia giovane vita a cercare di arrivare all’Accademia” disse.

“Volevo andarci perfino prima che la mia compagnia venisse uccisa. Prima ancora di sapere che i Chandrian erano qualcosa di più di una storia da narrare attorno al fuoco da campo. Prima di cominciare la mia ricerca degli Amyr.”

 

 

 

 

Questa è la storia di un uomo che insegue la verità di una leggenda e strada facendo diventa egli stesso una leggenda. Il giovane Kvothe è ancora alle prese con gli studi all’Accademia e con i suoi esperimenti, ma il carattere, focoso e ribelle quanto la sua chioma, e una lingua tagliente, affilata come una spada, gli hanno procurato diversi nemici. La rivalità crescente con un influente membro della nobiltà lo costringe a lasciare l’Accademia e a cercare fortuna altrove. Solo, alla deriva e senza un soldo, si reca nel regno di Vintas, dove si lascia coinvolgere dagli intrighi di corte, scopre il fallito tentativo di un assassinio e, a capo di una truppa di mercenari, indaga il mistero di chi – o cosa – minacci i viaggiatori della King’s Road. Nel frattempo, prosegue la sua incessante ricerca su Amyr e Chandrian. E mentre Kvothe muove i primi passi come eroe, scopre quanto sia difficile la vita per un uomo che, dopo aver acquisito poteri strabilianti grazie alle esperienze rischiose e straordinarie che ha vissuto, sta diventando una leggenda del suo tempo.

 

 

 

 

Recensione

 

 

 

 

“Potreste pensare che i ricordi peggiori fossero quelli di quando la mia compagnia venne uccisa. Di come tornai al nostro campo e trovai tutto quanto in fiamme. Le sagome innaturali che i corpi dei miei genitori formavano nella fioca luce del tramonto. L’odore di tela bruciata, sangue e capelli andati a fuoco.
Ricordi di coloro che li avevano uccisi. Dei Chandrian.
Dell’uomo che mi parlò, sogghignando tutto il tempo.
Di Cinder.
Questi erano brutti ricordi, ma nel corso degli anni li avevo tirati fuori e li avevo rievocati così spesso che in essi restava a malapena un bordo tagliente.
Ricordavo il tono e il timbro della voce di Haliax con la stessa chiarezza di quelli di mio padre…”

 

 

 

 



Eccomi finalmente a commentare questo libro. Sono lenta lo so, e me ne scuso, ma impegni, tremila letture e la poca ispirazione nello scrivere mi hanno tenuta lontana da questa pagina. Non guardatemi con quella faccia, ho bisogno di ispirazione anche per scrivere un commento, non so perché ma tutto quello che mi passa per la mente mentre leggo il libro, i miei appunti mentali, svaniscono non appena giro pagina, forse dovrei imparare ad appuntarmeli su un quaderno ^^. Poi ho scoperto che inserire alcune citazioni mi diverte e mi permette di rileggere passi del libro che ho particolarmente amato, passi che poi si trasformano in pagine e capitoli, e qui si aggiunge altro ritardo, ma cosa posso farci io mi innamoro dei libri che leggo. Tornando alle citazioni, probabilmente non farei un soldo di danno a fare un posto solo con quelle, evitereste un mio sproloquio e per chi ancora non conosce quest’opera, leggerebbe direttamente a cosa va incontro, senza che sia io a dirglielo con un commento che probabilmente non ha né capo né coda.

Va bene, la smetto di delirare, sproloquiare e scrivere cose senza senso e passo alla recensione vera e propria, sono qui per questo d'altronde.

Come avete potuto leggere sopra, nella trama, in questo secondo libro, si parla di un uomo che insegue qualcosa o meglio qualcuno: “una leggenda che poi tanto leggenda non è”.
Il protagonista è sempre lo stesso, Kvothe, l’ambientazione all’inizio anche, ma in seguito cambia, si scoprono altre città, altri luoghi sino ad arrivare nel regno di Vintas e dopo ai confini della mappa (come potete notare dall'immagine  con confini della mappa s’intende l’Admre un regno oltre la catena montuosa delle Stormwal.)
Comunque penso che debba spiegarmi meglio, il primo libro, era incentrato sul desiderio di Kvothe di entrare all'Accademia, la battaglia costante del protagonista di superare le avversità per giungere in quel luogo che ha sempre sognato; in questo secondo libro i suoi obiettivi cambiano; l’Accademia, ormai, nel bene e nel male è diventata la sua casa, l’unico posto dove ha degli amici, un punto di riferimento, ma è anche l’unico luogo dove può iniziare le sue ricerche su coloro che hanno sterminato la sua famiglia. Al tempo stesso, se prima Kvothe desiderava raggiungerla, la sfida era arrivarci, accedervi, in questo secondo libro gli obiettivi cambiano, uno dei suoi pensieri costanti è scoprire quante più cose sui Chandiran, dove trovarli, come sconfiggerli. Ma a differenza del primo libro c’è anche più introspezione e una maturazione di Kvothe: non parlo di una crescita mentale, piuttosto emotiva. Se prima era un ragazzo sveglio, intuitivo, dalla grande intelligenza, il suo unico pensiero era conoscere, scoprire e imparare, nella Paura del Saggio quel che impara non è solo a livello scolastico; scopre i piaceri del sesso con la fata Ferulian, impara a combattere e a difendersi, ma questo lo obbliga a lasciare l’Accademia, arrivando quasi fino ai confini del mondo, nella terra degli Adem. Scopre la loro lingua, una visione del mondo differente dalla sua, tradizioni differenti e si fa dei nuovi amici, persone che lo aiutano nella sua ricerca costante dei Chandrian e degli Amyr.
Ammetto che all’inizio sono rimasta un tantino perplessa; quando ho comprato il libro mi sono detta: “mai possibile che il secondo volume sia così lungo? Più di mille pagine, cosa avrà mai da dire l’autore senza sfociare nella noia più totale?”
Bene, lo ammetto, non mi sono annoiata nemmeno per un attimo; forse alcuni passi sono pesanti, ma la disposizione dei capitoli, la storia di Kvothe, quanto affronta, è tutto perfettamente legato; sono lì per un motivo preciso. È un lungo rotolo di avvenimenti che man mano ci vengono svelati, portandoci fino al presente, fino ad arrivare alla Locanda della Pietra Miliare, dove lo stesso protagonista racconta le sue avveture, il suo passato.
Quello che però mi incuriosisce di più in questo momento è il suo presente, tutta la storia sino ad arrivare al presente, alla Locanda della Pietra Miliare, il suo incontro con Bast, ma anche scoprire cosa vuole realmente quest’ultimo, cosa sta architettando per riavere il suo Reshi, il Kvothe di un tempo. Quindi non vedo l’ora che esca il terzo libro per poter scoprire tutto sui Chandrian, sul suo passato, ma il vero enigma di questi libri è il presente di Kvothe, il motivo per il quale vive relegato in un angolo sperduto del suo mondo, sotto mentite spoglie e cercando in tutti i modi di passare inosservato, soprattutto dopo che per lungo tempo ha alimentato lui stesso le leggende che lo riguardavano. Diventando una leggenda vivente.
Rothfuss da parte sua è geniale; non tanto per aver creato un personaggio carismatico, egocentrico, con i pregi e i difetti delle persone comuni, curioso come può essere un ragazzo dalla mente brillante, ma anche vanesio, come può esserlo solo un ragazzo consapevole della sua intelligenza; ma per aver creato un mondo, ogni paese con le sue culture, con le sue credenze. E bisogna dargli merito per il suo modo di scrivere: adoro le sue descrizioni, questo mondo che cambia, città costruite su lontane catene montuose, dove si mimetizzano, conformandosi all’ambente circostante, e non solo le città, ma anche gli abitanti, silenziosi e austeri come il paesaggio che li circonda. O grandi città dove ogni rapporto, ogni incontro è basato su tradizioni antichissime. Dove le differenze sociali sono lampanti e nessuno le nasconde. Una città dove Kvothe riesce a spiccare, a farsi amare e da dove è costretto a fuggire nel cuore della notte. Mi piace questo mondo e le avventure del protagonista, anche se ammetto che quando tutto sembra andare per il meglio e poi precipita all’improvviso; beh in quei casi mi ricorda Paperino e a quanto sia sfortunato, ma è solo un attimo, perché dopo le avventure di questo giovane dai capelli rossi, le descrizioni di Rothfuss mi riportano in questo mondo fantastico accanto a Kvothe e al suo liuto, a quella musica che tanto ama, a quelle leggende che non fa altro che inseguire.
Se il primo libro “Il nome del Vento” è stato una sorpresa quando l’ho letto, questo secondo volume è stata la conferma di aver fra le mani un vero gioiello per quanto riguarda la letteratura fantasy, qualcosa di nuovo, frizzanti e differente.


Ora vi lascio, con la speranza che possiate amarlo come l’ho amato io e non aggiungendo altri sproloqui.

Le immagini che ho utilizzato sono delle Fanart prese da Deviant Art.

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