Call the midwife - Chiamate la levatrice di Jennifer Worth


La cronaca, quasi un diario, delle giornate di una levatrice nell’East Side di Londra inizi anni Cinquanta. Con lei si entra nella realtà delle Docklands, vite proletarie che sembrano immagini della plebe ottocentesca più che cittadini lavoratori del democratico Novecento. Si entra in questa desolazione impensabile con una voglia di verità quotidiana raramente riscontrabile in un libro, ma anche con una rispettosa allegria, con la sicura fiducia che quel mondo stia per finire, senza rimpianti, grazie ai radicali cambiamenti apportati dal Sistema sanitario nazionale appena nato. Come poi fu, almeno fino ad oggi.
La fresca verve di Jennifer Worth, nel trattare una materia così cruda, crea una formula ingegnosa (e di grande successo sia letterario che come fiction televisiva). L’eroismo quotidiano di interventi clinici spesso drammatici, si mescola alla denuncia sociale, alla fiamma inestinguibile dei sentimenti umani, e alla ricchissima quantità di storie e ritratti. Accanto a questi, la galleria, tenera, nobile e a tratti comica, delle giovani levatrici e delle suore del convento di Nonnatus House, da cui le ragazze dipendevano professionalmente e dove abitavano. Su questa testimonianza aleggia un lieve «effetto Dickens» con un tocco di innocente gaiezza, che però non nasconde un monito evidente a favore delle politiche sociali solidaristiche, a non smantellare, per la scarsa memoria del passato, gli strumenti che hanno permesso di diffondere dignità umana.


Jennifer Worth (1935-2011) infermiera fino agli anni Settanta, e dopo musicista, ha scritto una trilogia dedicata alla sua esperienza come levatrice nell’antica zona proletaria di Londra: Chiamate la levatrice (Sellerio, 2014), questo Tra le vite di Londra e Farewell to the East End, di prossima pubblicazione. L’opera ha venduto oltre un milione di copie in Gran Bretagna e la BBC ne ha tratto una serie per la televisione, trasmessa in Italia da Rete 4 con il titolo «L’amore e la vita».

Link Amazon: Chiamate la levatrice


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La Sellerio editore ho scoperto che pubblica libri molto interessanti, con dei prezzi improponibili a volte, anche in formato ebook, ma sono sincera: quelli che ho letto quei soldi se li meritavano tutti.

Come sono arrivata a questo libro? Dopo un lungo e tortuoso giro: avevo intravisto su Netflix il telefilm, ma dovevo essere nel mood giusto per vederlo, poi su Facebook ho intravisto qualcuno che ne parlava e qualche sera fa, complice l’essere sola a casa, l’ho praticamente divorato. Persino mio fratello e mia sorella non hanno detto nulla, mia sorella perché questo genere di telefilm le piace, mio fratello voleva sapere chi fosse l’attrice che interpretava l’infermiera protagonista: Jenny Lee. Ognuno ha i suoi appigli per seguire una serie tv.
Sempre gironzolando su FB poi ho letto da qualcuno che tale serie era stata tratta da un libro; mi sono domandata come mai non ci avessi pensato da sola, comunque mi sono precipitata a cercarlo. Certo, ci ho messo un po’, continuavo a mettere il titolo in inglese, lo trovo molto più carino di quello in italiano, ma tant'è alla fine sono riuscita a raggiungere il mio obiettivo e ho scoperto che la stessa autrice, oltre ad aver scritto Call the midwife, ha pubblicato altri due romanzi sulla vita delle levatrici e di come si viveva nell' East End di Londra, libri che recupererò al più presto e di cui vi parlerò sicuramente.

Da un po’ di tempo ho iniziato ad apprezzare questo genere di romanzi, che si possono definire sia storici che sociali e parlano di ambienti più o meno degradati. Su un genere simile in cui si parla dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale è Il treno dell’ultima notte di Dacia Maraini; quello che mi affascina di questi libri è il periodo storico, tanto vicino e allo stesso tempo così lontano dall'era moderna. Costantemente in bilico fra un passato dove il ruolo della donna era relegato a quello di madre e moglie e pronto per fare quel passo decisivo verso il futuro dove le donne sono pronte a prendersi i loro diritti, diritti per i quali stanno ancora combattendo, ma rispetto a sessant'anni fa abbiamo fatto passi da gigante.  
Call the midwife è ambientato in Inghilterra, in un quartiere povero, degradato, dove queste infermiere e levatrici sono quasi degli angeli. Angeli che con la loro presenza e la loro insistenza facevano nascere tanti bambini, riuscendo a salvare sia i piccoli che le loro madri in un periodo e in un luogo dove la mortalità di parto, sia per il feto che per la madre, era molto alta e dovuta a molti fattori, fra cui la povertà e la scarsa igiene in cui versavano i luoghi dove vivevano queste famiglie.

Ma non parla solo di infermiere, parla di donne che hanno fatto una scelta fuori dagli schemi per quell'epoca, soprattutto per coloro che sono nate nella medio alta borghesia inglese. Perché lavorare in quartieri poveri, come infermiere, quando avrebbero potuto fare le madri e le mogli? O almeno questo era il pensiero dei loro genitori, dei loro parenti. Potevano avere qualcuno che si occupasse di loro, un luogo sicuro, eppure avevano preso una strada fuori dagli schemi. Una scelta coraggiosa a parer mio, soprattutto per l’epoca, ma non penso sia solo quello; ho sempre creduto e ne sono convinta tuttora che, per fare il medico e l’infermiera, ci sia bisogno di avere una sorta di vocazione, come prendere i voti.
Come è accennato nella trama, il libro è una sorta di diario, ricordi di un periodo lontano, quando la protagonista, la giovane infermiera Jennifer, si è allontanata da casa per seguire il suo destino, per allontanarsi da un amore che non avrebbe mai potuto realizzare e iniziando una vita che le avrebbe mostrato un mondo e un modo di vivere totalmente differente da quello che conosceva e a cui era abituata.

Attraverso gli occhi e i ricordi di una giovane ragazza dell'alta borghesia inglese, vediamo l’East End di londra, i Docks e un mondo totalmente differente dal nostro. Mi ha lasciato sorpresa leggere di uomini che lavoravano al porto, in quella che è Londra: so che c’è il Tamigi ma non ho mai pensato che potesse esserci un porto e navi mercantili che vi attraccavano e invece così era.
Era una zona povera, ma che dava lavoro a molte famiglie. Una zona colpita più di molte altre dai bombardamenti dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale e che ho faticato a immaginare. Non perché descritta male nel libro, tutt'altro, ma perché differente ai posti ai quali sono abituata. Vedere palazzi dove vi sono case di poche stanze dove vi vivono fino a dodici persone, o un bagno all'esterno del palazzo diviso da più persone per me è un qualcosa di lontano, di inafferrabile, in alcuni momenti ho fatto fatica a crederci.

Quando ero piccola sorridevo quando mia madre mi diceva che una volta qui in Italia i bagni li avevano sul terrazzo, eppure immaginare questi palazzi degradati, a stento ancora in piedi, con tanta gente e un unico bagno a piano mi ha lasciata spiazzata. Come mi ha lasciato spiazzato il pensare a queste famiglie numerose, a gravidanze difficili e a rischio. Oggi avere un figlio non è più un pericolo, tranne rari casi la gravidanza si porta a termine abbastanza facilmente, all'epoca poteva essere considerata un terno al lotto sia per la madre che per il bambino.


Questo libro l’ho apprezzato veramente tanto, è stato una piacevole scoperta, come d'altronde lo è stata la serie tv che me lo ha fatto conoscere. Di solito non leggo molto volentieri in prima persona, chi la usa deve saperla gestire bene, eppure in questo caso è stata fantastica. Mi sono completamente immersa nel mondo dell’infermiera Jenny Lee, mi ha trascinato indietro nel tempo e attraverso le sue parole vedevo l’East End di Londra, i docks, le strade affollate e gli alti palazzi dove centinaia di numerosissime famiglie vivevano, affrontavano la vita con allegria e anche disperazione.
Ho visto la struttura, la Nonnatus house, un luogo di ritrovo, di conforto e anche di preghiera, visto che è gestito da suore levatrici, personaggi molto particolari all'interno del libro, infermiere anche loro, levatrici e donne, ma soprattutto personaggi molto interessanti perché umani. Sono suore, eppure come essere umano provano sentimenti, simpatia e antipatia, si fanno i dispetti e gli scherzi, decisamente molto più umane di quanto immagini una donna che ha preso i voti.
Mi è piaciuta questa impostazione del libro, questa sorta di diario dove i ricordi dell’autrice scorrono fluidi, bravissimo chi ha tradotto, che ha saputo mantenere gli eventi ed è riuscito a dargli un lieve tocco di malinconia. Ho letto un libro, ma al tempo stesso vedevo quanto avveniva attraverso delle fotografie d’epoca, leggermente rovinate, opache e invecchiate, eppure così cariche di sentimenti, di significati che riescono a lasciare senza fiato.

Call the Midwife non sono solo i ricordi di una giovane infermiera, ma la descrizione di un mondo, di un quartiere, attimi di vita che questa donna ha immortalato e reso indimenticabili. Nomi, persone, descrizioni, luoghi rimarranno nella mente del lettore, tanto quegli eventi sono toccanti, belli, ma anche drammatici.
Un libro meraviglioso, di cui mi sono innamorata sin dalle prime battute; non lo avrei mai creduto e invece è così. Una delle migliori letture che abbia mai affrontato e che consiglio vivamente.

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