Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson



"Io non mi chiamo Miriam", dice di colpo un'elegante signora svedese il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, di fronte al bracciale con il nome inciso che le regala la famiglia. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant'anni, ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua giovane nipote: la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse ai campi di concentramento fingendosi ebrea, infilando i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück. Così Malika diventò Miriam, e per paura di essere esclusa, abbandonata a se stessa, o per un disperato desiderio di appartenenza continuò sempre a mentire, anche quando fu accolta


Buongiorno, Piume! Il romanzo di cui vi parlo oggi non è stato un romanzo facile da leggere, e ora che mi accingo a recensirlo mi trovo di nuovo in difficoltà.
Un po’ per il tema difficile, un po’ perché mi è parso quanto mai attuale, in maniera forse un po’ sconfortante.
Tutto il romanzo si basa sulla dichiarazione di una anziana signora svedese, una reduce dai campi di concentramento, un’ebrea di nome Miriam.
O forse no, perché la dichiarazione della donna è proprio quella di non chiamarsi Miriam, di aver mentito da tantissimi anni su chi era persino alla sua famiglia.
Da questo, inizia la narrazione degli anni della giovinezza di Miriam, di come è diventata Miriam, dei campi di concentramento, di tutto ciò che ha subito.
Ed oltre a questo orrore, si aggiunge la sensazione di paura quando, finalmente salva, si accorge che deve continuare a mentire, fare finta di essere ebrea, perché sa che se raccontasse la verità, tutte le brave persone che l’hanno aiutata potrebbero voltarle le spalle, tornare a discriminarla.
E lei è stanca di essere discriminata.
Io non mi chiamo Miriam è un romanzo duro che, nonostante la dolcezza dello stile dell’autrice, ci pone davanti ad un fatto: ossia che anche dopo tutto l’orrore delle deportazioni, anche dopo tutte le sofferenze, l’umanità non sia in grado di andare oltre ai pregiudizi, oltre alla paura del diverso.
È stata una lettura davvero difficile, pesante, ma non per lo stile: l’autrice, anzi, ha una scrittura molto scorrevole, piacevole da leggere. Non ho sofferto nemmeno i cambi temporali, il fatto che il libro non segua un vero e proprio ordine cronologico.
No, non è stato un problema.
La difficoltà sta in ciò che viene raccontato: ogni tanto sentivo il bisogno di staccare, per metabolizzare il tutto.
Nonostante ciò, credo che, alla fine, mi abbia fatto bene leggere questo libro, mi ha resa più consapevole.
Ve lo consiglio? Sicuramente non è una lettura leggera, ma sì, ve lo consiglio vivamente.
Alla prossima recensione.


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