Donatella Di Pietrantonio
“L'arminuta”
Vincitore Premio Campiello 2017
Link acquisto: L'arminuta
***
Recensione di Aurora Boreale
***
Donatella
Di Pietrantonio si aggiudica l'ambito Premio Campiello 2017 con questo romanzo,
unendo le recensioni favorevoli sia da parte della Critica che da parte dei
semplici lettori.
Un
romanzo breve, ma tanto forte nei contenuti, che ti trasporta in una realtà
italiana sconosciuta forse ai più.
A
mio dire, la prima cosa ad attrarre è il titolo del libro: “L'arminuta”; una
parola dialettale che, se non fai parte del mondo rurale abruzzese, risulta
sconosciuta, quasi aliena. Un termine che mi ha subito riportato alla mente un
altro romanzo con un titolo altrettanto forte, “Accabadora” di Michela Murgia,
che a sua volta racchiude una piccola realtà italiana – quella sarda – avvolta
nel mistero e tutta da scoprire.
L'arminuta,
che in alcuni dialetti del sud Italia, compreso quello abruzzese, significa 'la
ritornata', è la storia di una tredicenne che improvvisamente si vede venire
meno i capisaldi della sua stessa identità, in quanto viene a scoprire di non
essere la figlia dei genitori che l'hanno cresciuta, ma di essere stata data a
loro da una famiglia proletaria.
Tale
scoperta, già di per sé scioccante, viene esacerbata dal repentino cambio della
sua vita, in quanto, al momento della rivelazione, viene riportata ai genitori
biologici.
Si
può quindi intuire quanto questo romanzo si incentri sulle domande che la
protagonista si pone, sulla ricerca delle sue stesse origini: di chi è figlia?
Della donna che l'ha generata, ma che di fatto è una perfetta sconosciuta, o di
chi l'ha cresciuta, che però l'ha restituita alla famiglia d'origine senza
fornire alcuna spiegazione?
È
una storia che nasce, come la stessa autrice racconta in alcune interviste, da
una realtà sociale vissuta quand'era piccola. Il libro è ambientato in un paese
pedemontano abruzzese alla fine degli anni settanta e, a quei tempi, non era
inconsueto che i bambini venissero ceduti da famiglie, magari con troppi figli
a carico, a coppie sterili.
“A tredici anni non conoscevo più l’altra mia madre.
Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una
borsa piena di scarpe confuse. Sul pianerottolo mi ha accolto l’odore di fritto
recente e un’attesa. La porta non voleva aprirsi, qualcuno dall’interno la
scuoteva senza parole e armeggiava con la serratura. Ho guardato un ragno
dimenarsi nel vuoto, appeso all’estremità del suo filo.
Dopo lo scatto metallico è comparsa una bambina con le trecce
allentate, vecchie di qualche giorno. Era mia sorella, ma non l’avevo mai
vista.”
In
questo modo si apre il romanzo, con la protagonista che, con solo una valigia e
una sacca di scarpe appresso, bussa alla porta di quella che sarà la sua nuova
casa. La prima persona che incontra, l'unica con cui intreccerà un legame forte
e duraturo, è sua sorella Adriana.
Nel
modo in cui la protagonista osserva e descrive la propria famiglia e
l'abitazione, è intuibile che vi è un grosso divario tra ciò che era abituata
fino ad allora – una casa grande e pulita in riva al mare a cinquanta
chilometri di distanza, una vita felice e spensierata fatta di agi e ricchezze
– e ciò che è la sua nuova realtà.
Poche
righe dopo, vi è il primo incontro con la madre naturale, che risulta essere
alquanto deludente.
“La donna che mi aveva concepita non si è
alzata dalla sedia. Il bambino che teneva in braccio si mordeva il pollice da
un lato della bocca, dove forse voleva spuntargli un dente. Tutti e due mi
guardavano e lui ha interrotto il suo verso monotono. Non sapevo di avere un
fratello cosí piccolo.
– Sei arrivata, – ha detto lei. – Posala, la
roba.”
La situazione in cui si trova a
vivere la protagonista appare strana anche al lettore. La scrittura in prima
persona non fa intuire nulla: così come la ragazza si vede consegnata alla
prima famiglia, manco fosse un pacco, senza nessuna spiegazione chiara del
perché di questa scelta, se non delle scuse vaghe, allo stesso modo il lettore
è portato a provare lo stesso sconforto, lo stesso senso profondo di abbandono.
In realtà un doppio abbandono,
quindi ancora più terrificante da affrontare.
Fin da subito la giovane inizia a
interrogarsi, a cercare di capire quale sia il suo posto. Si sente un'estranea
nella nuova casa in cui è costretta a vivere e, allo stesso tempo, non voluta
più dalla famiglia che per tredici anni l'ha amorevolmente cresciuta. Il
romanzo affronta questa situazione terribile e angosciante, soprattutto per una
ragazzina in piena adolescenza e proprio la sua giovane età porta forse tali
sensazioni a essere vissute al massimo.
La scrittrice riesce a trasmettere
i sentimenti forti che prova la protagonista attraverso una scrittura secca,
senza fronzoli, infarcita da espressioni dialettali del luogo per rendere
l'ambientazione più viva. Non per niente l'Abruzzo sembra quasi un personaggio
a sé, che abbraccia – con i suoi costumi, i modi di dire, i paesaggi, i
dialetti – l'intera narrazione.
Uno stile schietto, quasi duro, e
talmente essenziale che ogni parola risulta importante, perché non è abbellita
da nessun artificio e adatto a raccontare una storia straziante che tocca nel
profondo.
Non si tratta di un romanzo che
punta la sua attenzione sulla trama, quanto piuttosto su una ricerca interiore.
“Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non
sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola
come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo
sia una madre.
Mi manca come
può mancare la salute, un riparo, una certezza.”
Consiglio
vivamente di leggere questo romanzo; personalmente mi ha saputo emozionare e mi
sono sentita molto in sintonia con i sentimenti della giovane protagonista. Non
ho potuto davvero evitare di pormi la domanda: se fossi stata al suo posto,
come avrei reagito?
Con
questo libro ho anche conosciuto quest'autrice di cui non avevo ancora letto
nulla; infatti dopo “L'arminuta”, incuriosita, sono andata a cercare i suoi
precedenti lavori. Ho letteralmente divorato “Mia madre è un fiume”, un
racconto incentrato sul rapporto tra madre e figlia, altrettanto bello e
intenso; ho invece sul comodino, pronto per essere letto, “Bella mia”, il
romanzo con cui l'autrice ha partecipato al Premio Strega nel 2014.
Non
vedo l'ora di iniziarlo, perché sono sicura che non mi deluderà.
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