Il bambino che non poteva amare di Federica D'Ascani (Anteprima)


Trama:
Quando Teresa partorisce e sente per la prima volta il pianto di suo figlio pensa che non possa esserci gioia più grande di quella che sta vivendo: Libero, suo marito, è in una stanza a pochi passi e Paolo, il suo piccolo appena nato, a un soffio.
Ma il tempo passa e nessuno, in sala, la degna di uno sguardo. C'è qualcosa che non va. E poi la sentenza: suo figlio è morto, suo figlio è deforme, suo figlio non merita neanche di essere visto.
La vita di Teresa diventa il fulcro dell'Inferno in una manciata di secondi, e tutta l'allegria provata fino a quel momento scema per lasciare posto a un vuoto incolmabile.
Ma Teresa non sa la verità: Paolo è vivo, Paolo è in buona salute, Paolo ha la sindrome di Down ed è stato appena mandato in manicomio.
C'è stato un tempo in cui nascere diversi era un modo come un altro per non esistere, un tempo in cui bambini e adulti, se pazzi o anormali, venivano semplicemente dimenticati.




***

Buongiorno a tutti. Oggi sono qui per recensire un nuovo libro, una nuova anteprima, sempre per la Triskell Edizioni, ma in questo caso per la collana Reserve.
Ammetto che sono stata indecisa se scrivere subito questa recensione oppure aspettare e riflettere bene su quanto letto, ma alla fine il bisogno di scrivere, di parlare è stato più forte ed eccomi qui a caldo, non appena ho spento l'e-reader. Ho letto questo romanzo tutto d’un fiato, quando sono arrivata alla fine ero svuotata. Stavo malissimo. Non perché non mi sia piaciuto, ma per il tema trattato, o meglio i temi trattatti, perché Il bambino che non poteva amare di Federica D’Ascani parla di molti argomenti, tutti decisamente complessi. Sono temi difficili, argomenti e avvenimenti dove per molto tempo c’è stata tanta omertà; anche ora è difficile trovare delle notizie se non si sa dove cercare. Io sono curiosa di natura, ho provato a fare qualche ricerca su Internet, ma sono decisamente tutte molto vaghe: ho trovato il titolo di un libro che mi sono segnata, ma null’altro. Per non parlare poi del periodo storico in cui è ambientato. La storia di Teresa, Libero, e Mara inizia nel lontano 1946; l’Italia, come il resto del mondo, è uscita da una guerra, noi inoltre dal ventennio fascista e da tutte quelle leggi che hanno distrutto intere famiglie, strappato figli ai propri genitori, separato persone che si amavano, ma soprattutto pieni di ferite e con grandi dubbi e domande su cosa avrebbe riservato il futuro. Un periodo duro per tutto il popolo italiano, ancora di più per coloro che erano differenti, che con il tempo venivano dimenticati, chiusi in strutture e trattati come bestie o peggio ancora, come cavie da laboratorio.
Ne Il bambino che non poteva amare, leggendolo, ho avuto fitte di dolore per frasi, comportamenti dei medici, per la mentalità di molti, ma soprattutto per il comportamento delle persone, uomini e donne.
La ricerca, il mondo, era ancorata ancora al passato; negli ultimi 73 anni a livello di ricerca e di leggi il mondo ha fatto passi da gigante, più o meno, ma non voglio addentrarmi in argomenti politici, non ora, non quando sto commentando altro. Dicevo, a livello di ricerca e di leggi sono stati fatti passi da gigante, i manicomi sono stati chiusi, per tutti coloro che venivano considerati diversi ci sono posti più adeguati, non vengono più torturati, ma soprattutto molti non sono più considerati malati, pazzi, abomini e figli del demonio.
Erano anni bui, dove la scienza era arretrata, dove la paura, ancora, la faceva da padrone. Paura per chi era diverso per aspetto, mentalità, comportamento e religione.
Frank Herbert, uno scrittore di fantascienza, in uno dei suoi libri più conosciuti fa dire questa frase a un suo personaggio:


“Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.”


Aveva ragione, la paura annebbia la mente, spinge le persone a non pensare, a non ragionare. La paura e l'ignoranza, come secoli di storia insegnano, hanno sempre portato ad avere paura di ciò che è differente, di quello che non si conosce, di tutto quello che le persone percepiscono diverso. E così, ecco che tutto quello che non rientrava negli standard dei cosiddetti “normali” era sinonimo di pazzia. Bisognava nasconderlo al mondo, agli occhi di tutti. Per non parlare poi del delirio di onnipotenza di alcuni medici: nel libro ne compaiono differenti e tutti sono spocchiosi, impauriti da quello che non conoscono, insensibili al dolore e pronti a fare esperimenti usando dei poveri innocenti come cavie.
La paura ha sempre spinto le persone a dare addosso e a prendersela con i più deboli, con coloro che non si comprendono o non si uniformano agli altri, ed ecco come mai: più di settant'anni fa, grazie anche alla guerra, alle discriminazioni e a leggi fatte ad hoc in molti hanno sofferto e sono morti.
Perché la paura genera solo altra paura e incomprensioni.


Il romanzo è ambientato nella mia città, a Roma, e l’autrice gestisce molto bene i luoghi, l’ambientazione. Non entra in descrizioni approfondite, eppure è lì, nei quartieri della città, dove la gente inizia a malapena a riprendersi dalla guerra e tutto sembra irreale. Molte cose sono cambiate, o almeno dovrebbero, ma è solo apparenza: c’è chi è ancora radicato nel passato, aggrappato a leggi ormai stantie. Su tutto aleggiano due cose che mi hanno fatto venire i brividi: l'atteggiamento maschilista e patriarcale, dove sembra che le donne non siano in grado di capire o prendere decisioni, ma solo di aspettare che siano i loro mariti o padri a farlo, e Santa Maria della pietà; per chi è nato a Roma e ha genitori e nonni abbastanza in là con gli anni, sa quanto quel luogo si sia preso persone senza più lasciarle uscire, inghiottite da un microcosmo, una città nella città e mai più restituiti alle loro famiglie. Uomini, donne e bambini per motivi differenti vi sono stati rinchiusi e lì sono morti, dimenticati da tutti.
Con la legge Basaglia la maggior parte dei manicomi italiani venne chiusa, ma il Santa Maria della pietà venne chiuso definitivamente solo a fine anni novanta, e ora è un monito, un luogo da osservare per ricordare cosa era e cosa vi facevano un tempo.



Ma passiamo alla recensione vera e propria, a questo libro che mi ha assorbito, tanto da farmelo divorare; ci sto mettendo di più a scrivere la recensione che a leggerlo veramente e come mio solito sproloquio all’infinito.
Lo stile dell’autrice è impeccabile, ho letto un altro suo lavoro, un libro per bambini che ho adorato, eppure con Il bambino che non poteva amare ha dato il meglio di sé. Mi spiego: per quanto io abbia adorato Cole Tiger e l’esercito fantasma, l’ho anche recensito per il blog a inizio anno, probabilmente perché era il suo primo lavoro per un target di bambini più piccoli, lo stile l’avevo trovato un pochino frenato, molto differente da quanto ho letto in questo romanzo. In questo si muove alla perfezione, gestisce ottimi dialoghi, un’ottima introspezione; ho apprezzato il salto temporale e come è stato introdotto, facendo crescere la curiosità sui personaggi, sugli avvenimenti e soprattutto su quanto fosse accaduto cinque anni prima.
Ma quello che rende bravissima l’autrice sono le emozioni che fa suscitare nel lettore, o in questo caso a me; già a inizio romanzo, dopo che Teresa ha partorito, ci sono state delle frasi, delle affermazioni, dei comportamenti descritti e come è stata trattata la donna che mi hanno fatto infuriare e rabbrividire. Sentire un medico dire a una partoriente che la colpa è sua se il bambino che ha messo al mondo è nato con delle malformazioni, perché non lo ha amato abbastanza. Come mi ha lasciato senza parole e piena di rabbia il momento in cui un’infermiera fissa la donna a cui hanno appena detto che suo figlio è morto, con disgusto, affermando che sua madre era una donna sana e che aveva messo al mondo dei figli sani, cosa che non si poteva dire di lei, e che la colpa era sua se il bambino era morto e un mostro.
Altro punto che mi ha straziato e fatto infuriare è stato quello in cui il medico curante voleva sterilizzarla o farla chiudere in manicomio perché pazza, bastava solo una ricetta e il consenso. Tutto questo perché aveva messo al mondo un bambino che per loro non sarebbe dovuto nascere, un mostro deformato a loro detta.
Io non sono madre, non ho nemmeno il desiderio di esserlo, però posso solo immaginare il dolore, il trovarsi davanti a un medico, a qualcuno che ha studiato, mentre a stento la povera Teresa sapeva cosa fosse accaduto, sentirsi incolpare, fissare con disgusto e per un attimo, un solo attimo pensare che veramente fosse stata colpa sua.
Ma come poteva essere colpa sua, lei che aveva desiderato con tutto il cuore quel figlio, quel bambino e come lei suo marito. Ma no, per i luminari della scienza dell’epoca era solo colpa delle madri, i padri erano solo delle povere vittime, mentre le donne madri snaturate che non avevano amato il loro bambino quando era ancora nella pancia.
Per quanto tempo le persone si sono aggrappate a questo pensiero? Quante donne hanno sofferto e quanti bambini?
Il dolore di Teresa, lo shock trapelano pagina dopo pagina, come il senso di colpa di suo marito, perché sa la verità, ma non ha il coraggio di rivelargliela.
Nell’intero romanzo ci sono donne forti, intelligenti, pronte a combattere affinché cambino le cose, mentre ci sono uomini, medici, che si sentono Dio, luminari della scienza che guardano tutti dall'alto in basso, come se fossero solo loro i detentori del sapere.
E così, pagina dopo pagina, conosciamo molte figure femminili: Sara, una giovane infermiera che ha combattuto per studiare, intelligente, curiosa, pronta a rischiare il suo lavoro per non voltare lo sguardo.
C’è Mara, una dottoressa, anche lei forte, intelligente, compassionevole verso i bambini che ha in cura. Proprio quella compassione la fa vedere inferiore dai suoi colleghi uomini, come se fosse un difetto e non un pregio.
C’è la suocera di Teresa, Renata, una donna forte, intelligente, alla fin fine è lei che manda avanti la famiglia, che conosce e capisce più degli altri suo figlio e suo marito.
Ma non ci sono solo figure femminili positive all’interno del libro; compaiono, poco, ma lasciano il segno, alcune suore, votate a Dio, ma che non hanno idea di cosa sia la misericordia di Nostro Signore. Donne incattivite, che riversano il loro odio su creature che reputano senza Dio.
Ci sono anche personaggi maschili; molti che appaiono hanno i loro pov, come Libero, suo padre e Ascanio, i vari medici che si susseguono, eppure, pur essendo importanti, non lasciano il segno. Sono ben caratterizzati, eppure sono le donne di questo romanzo che portano avanti la storia, che prendono decisioni, che combattono.
La stessa Teresa riprende in mano le redini della sua vita, affrontando il dolore, la perdita e in seguito decidendo di riprendersi quello che è suo a discapito di tutto e tutti, comprese le leggi.



Dal momento in cui ne ho letto la trama, quando la casa editrice ne ha annunciato l’uscita, ero curiosa. Curiosa della storia, di leggerlo, di scoprire pagina dopo pagina ambientazione, luoghi, personaggi. Ma per quanto fossi curiosa, non avrei mai immaginato che mi prendesse tanto, che mi piacesse tanto, ma allo stesso tempo mi facesse soffrire in egual modo.
Il bambino che non poteva amare è un libro complesso, un pezzo di storia del nostro paese, un monito a ricordare il passato e a non commettere i medesimi errori di un tempo.
Un libro che consiglio, ma dovete avere a portata di mano tanti fazzolettini.

Cinque piume per lui e tantissimi complimenti all’autrice.



Commenti

  1. E grazie. Grazie di cuore, grazie per le parole, per le emozioni, per il tuo modo di dire a caldo tutto quello che hai provato. Perché questo desideravo fin dall'inizio: permettere di ragionare, di indagare e interrogarsi. Sono contenta di essere riuscita a esprimere e trasmettere quelli che erano i miei desideri su questo romanzo, contenta del fatto che tu abbia coinvolto i tuoi lettori in una discussione che spero prenda piede. Perché la vita, quella che ci circonda con le proprie diversità, dovrebbe invitare alla riflessione e all'inclusione, non all'allontanamento di chi la società reputa "inferiore". Perché di inferiore non esiste nessuno, se non un cervello piccolo che non sa vedere il bello in ognuno.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eccomi, finalmente ho due minuti per rispondere. Quando ho terminato il romanzo ci ho pensato, se scrivere di getto la recensione, tutto quello che mi frullava per la testa o aspettare, alla fine ho deciso di scriverla a caldo, proprio perché si intuisse cosa ho provato, cosa sei riuscita a scrivere nel romanzo, le emozioni, sia positive che negative, la storia e quegli avvenimenti di cui nessuno parla mai.
      Sono stata felicissima di poterlo leggere, grazie <3

      Elimina

Posta un commento