Gli Omicidi del Mago (L'arte del delitto #3) di Josh Lanyon

Gli omicidi del mago – Josh Lanyon

Trama:


Nessun asso nella manica. A parte l’omicidio…


Jason West, agente speciale e stella della squadra Crimini artistici dell’FBI, si trova nel Wyoming a casa del capo dell’Unità analisi comportamentale Sam Kennedy, per riprendersi dopo essere stato investito da un’auto, quando gli viene chiesto di fare da consulente sul furto di una inestimabile collezione di poster vintage di magia.

Tuttavia, prima che Jason possa dire abracadabra, il proprietario della collezione viene trovato morto in un parco nazionale.

Quando il defunto si rivela essere Kubla Khanjurer, mago part-time assai odiato e accusato di aver svelato i segreti ben custoditi degli illusionisti professionisti, sembra evidente che si tratti di un semplice omicidio per vendetta. Finché Jason non si rende conto che una precedente morte sospetta avvenuta al Top Hat White Rabbit, club di magia alla moda, potrebbe fare parte di uno schema più ampio e sinistro.



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Chi mi conosce sa quanto io ami questa serie di Josh Lanyon dedicata a L’arte dell’omicidio: l’Art Crime è un tema di cui mi occupo per lavoro, e il fatto di ritrovarlo in una lettura di svago mi fa letteralmente gongolare.
Ci sono battute di Jason che sento come mie (“Se dovessi scegliere se salvare la vita a un essere umano o a un quadro cosa sceglieresti?” “Dipende da che essere umano e da che quadro.” credo che sia lo scambio di battute che più mi abbia fatto ridere in assoluto leggendo un M/M, sostanzialmente perché è vero), ci sono battute, invece, che mi hanno fatta storcere il naso (il Getty è un pochino più che un museo costretto a restituire qualche pezzo, tant’è che viene chiamato il museo dei tombaroli), ma in generale l’entusiasmo e l’idealismo dell’agente speciale Jason West, la sua testardaggine, la sua devozione nei confronti del nonno che lo ha reso la persona che è, sono qualcosa di così vivido e reale, qualcosa che sento così mio e che ritrovo tanto spesso nelle persone che si occupano di questi temi e mi stupiscono per il realismo con cui sono stati tratteggiati.
Facciamo un breve riassunto della serie. In principio ci fu Gli omicidi della sirena, che sembrava partire da una premessa così classica che più classica non si può: agente di belle speranze che affianca la vecchia gloria in difficoltà.
E qua già capiamo perché la Lanyon è una scrittrice di razza superiore: la serie sarebbe potuta ruotare tranquillamente attorno a Sam Kennedy, al suo essere una leggenda di una sezione ancora più leggendaria (quanto fa ridere la velata ironia con cui gioca l’autrice nei confronti della serie tv Criminal Minds?), e invece no: il protagonista di tutta la serie è Jason West, l’agente giovane, quello che lavora per la sezione sfigata, quello che sembra fare carriera perché ricco e perché, diciamocelo, anche gay (e anche qui: che colpo da vera maestra è ribaltare il cliché dell’agente che deve tenere segreta la propria omosessualità trasformandolo, nella liberal California in cerca di modelli da esibire, nell’uomo-mascotte da sbandierare sotto gli occhi dell’opinione pubblica?).
E anche la relazione con Sam è tratteggiata nello stesso, sapiente modo: il topos dell’haters-to-lovers viene ben giocato, e nel secondo volume si trasforma in una riflessione sulle difficoltà dell’avere una relazione a distanza.
Di più: Jason e Sam vengono tratteggiati per quello che sono, uomini imperfetti, pieni di paure, molto diversi dall’immagine professionale che tenacemente hanno costruito e difendono. Uomini che fanno fatica a mettere da parte il proprio ego per condividere qualcosa assieme che vada oltre qualche occasionale incontro a sfondo sessuale.
E qui veniamo a questo romanzo, che secondo me, dal punto di vista sentimentale, è il più bello della serie: un evento imprevisto spariglia le carte e costringe Jason e Sam non solo a scoprirsi, finalmente, mettendo a nudo le rispettive paure, ma li costringe soprattutto a chiedersi cosa vogliano davvero dalla loro relazione.
Il passato di Sam viene a galla oltre il mito che aleggia attorno alla sua figura pubblica, e lo amerete come mai vi sarà capitato nei volumi precedenti.
Soprattutto amerete la capacità della Lanyon di andare oltre le soluzioni facili, conferendo ai suoi protagonisti una tridimensionalità che raramente mi capita di riscontrare leggendo romanzi di questo genere.
Il riferimento all’illusionismo va ben oltre la trama, diventa parte stessa della struttura del romanzo, e la chiusura claustrofobica è perfetta, lasciando addosso al lettore il giusto grado di adrenalina.
Se Gli omicidi di Monet mi aveva leggermente deluso per quanto riguardava proprio la gestione della trama “gialla” (vi ripeto il warning iniziale: di Art Crime mi occupo e vedere un caso così confuso dove si mette sul fuoco decisamente troppa carne mi lascia un po’ di amaro in bocca), questo romanzo, al contrario, si rivela una lettura sorprendentemente equilibrata, dove nulla è come sembra.
Un ottimo terzo capitolo che prepara il terreno al vero capolavoro della serie, quel The Monuments Men Murders di cui non vedo l’ora di recuperare anche la traduzione italiana.
Per il resto, come sempre: grazie, Josh Lanyon, per aver creato un altro “illuso”, come ci definì bonariamente una volta il magistrato Paolo Giorgio Ferri.
Uno che Jason potrebbe aver conosciuto in relazione alle restituzioni che è stato costretto a fare proprio il Getty...



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