Trama:
Quando si trasferisce in Massachusetts per studiare Legge, Carlos ha le idee piuttosto chiare sul proprio futuro: sogna un posto in uno studio legale prestigioso, una moglie elegante, una vita che riscatti la sua infanzia povera trascorsa in Arizona. Non prevede certo di innamorarsi di un ragazzino maschio che gli farà mettere in discussione ogni aspetto della sua vita, né che questo ragazzino conviva con segreti dolorosi che renderanno i dubbi sul proprio orientamento sessuale l’ultimo dei loro problemi.
Per Viv il sesso non è qualcosa di intimo, ma una dimensione anonima che cerca più per punirsi che per farsi del bene. Non ha mai neanche pensato alla possibilità di innamorarsi di qualcuno, o che qualcuno possa innamorarsi di lui, finché l’incontro con Carlos non cambia le carte in tavola costringendolo a scelte molto più spaventose di quelle che si è concesso fino a quel momento. Nella vita non esiste nulla di completamente innocuo, però, e anche i desideri più veri nascondono trappole e insidie: l’amore può ferire più a fondo dell’odio, se credi di non meritarlo, ed è fin troppo facile trasformare quel dolore in arma e puntarla contro chi meno lo meriterebbe.
Sullo sfondo di un processo che porta alla luce ricordi difficili e costringe tutti a una scelta di campo, Viv e Carlos dovranno imparare il modo giusto per aprirsi l’uno all’altro, ed entrambi al mondo.
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Recensire questo libro è, per me, una faccenda complicata: non perché non mi sia piaciuto, anzi, posso già dire che per me è una delle letture dell’anno anche se siamo solo a febbraio.
C’è però un aspetto che ritengo doveroso dover sottoporre a voi lettori prima di iniziare l’analisi di questo romanzo denso, sia per lo stile che per il numero e la varietà di temi che affronta: io conosco la Rosa dei Venti da tanto, tanto tempo.
Potrei dire che sono una delle persone il cui nome compare nei ringraziamenti finali, ma sarebbe sminuire il valore sia di questa lettura che della recensione stessa.
Non è per amicizia, infatti, che vi consiglio di leggere In luce fredda.
Praticamente tutte le persone che conosco hanno pubblicato un romanzo, parecchie anche con Triskell, non ho interesse a fare una recensione positiva per piaggeria.
Di più: non credo che lo meritino Micol e Sabrina, e men che meno il loro lavoro, la loro penna avvolgente e al tempo stesso chirurgica nel descrivere le fragilità dei loro personaggi.
No, se vi consiglio In luce fredda, e lo faccio qui su Piume, lo faccio perché credo nell’assoluto valore di questo testo, e più ancora del progetto che sta a monte.
E a tal proposito cominciamo a raccontare le cose dall’inizio: Rosa dei venti è una delle tante storie originali che nascono in seno a quella fucina di talenti che fu l’esperienza del fandom negli anni in cui le storie in rete si pubblicavano su piattaforme come i forum, EFP o livejournal.
È un tema che ho già affrontato a proposito della recensione de L’agenzia del Lux Lab, se vi ricordate, ma il numero di autrici (M/M e non solo) nato in seno a quest’esperienza è molto più ampio, tanto da arrivare a Eleonora C. Caruso.
Rosa dei Venti era un progetto ambiziosissimo sia per la mole (oltre cento capitoli), sia per l’idea che si proponeva di raccontare a monte: quella di un universo narrativo di personaggi che si intrecciavano tra di loro nelle maniere più disparate.
Quegli intrecci generavano traiettorie nuove, cambi di destini, perché alla base di tutto c’era l’idea che siamo tutti connessi, e tutti ci influenziamo a vicenda.
Parallelamente agli intrecci della storia, però, un po’ come avveniva per le autrici e i loro personaggi, anche i destini dei lettori hanno finito per intrecciarsi tra di loro, creando una piccola comunità che, a suo modo, continua a vivere ancora adesso a distanza di una decina d’anni.
Questo della comunità è un tema importantissimo anche per il romanzo, tra l’altro, ma ci torneremo tra poco.
Finendo il discorso che ho iniziato per introdurre la storia, Rosa dei venti ha provato diverse strade prima di approdare a questa sua veste definitiva; in principio ci fu il self-publishing (Opera al Rosso, ma anche Roots che è un po’ il prequel di questo romanzo), ma c’è stato anche l’esordio solista di Micol Mian per Milena Edizioni con un testo che con In luce fredda vanta più di un parallelismo: Dormono gli Aironi.
Anche in In luce fredda, infatti, troviamo un protagonista alla ricerca di se stesso che trova la sua strada anche grazie al supporto degli amici e dei coinquilini che finiscono per diventare la sua nuova famiglia; il parallelismo e i rimandi all’universo narrativo della Rosa dei Venti sarebbero più ampi e profondi, ma sarebbe un discorso lungo che toglierebbe tempo e spazio all’analisi del testo stesso.
Mi preme solo sottolineare come sia un tema che adoro, che ho ritrovato, sviluppato in tutt’altra maniera, anche in Lexington Avenue di Mick Grey, e che secondo me meriterebbe ulteriori approfondimenti: in una società che cambia e dove il passaggio dalla casa del padre a quella del “marito” non è più così scontato, col coinquilinaggio relegato a momento di crescita proprio del periodo della prima giovinezza, questi tre romanzi raccontano di giovani adulti che fanno della loro rete di sicurezza la propria famiglia, sostituendo alla famiglia del sangue quella degli affetti.
Capirete subito che questo è andare ben oltre il genere romance, trasformando la storia (o le storie) d’amore in un volano che serve a raccontare tematiche diverse come la scoperta di se stessi, la crescita, l’accettarsi per quello che si è.
In In luce fredda questi temi acquistano ancora più importanza visto che tutti i rapporti, non solo quelli sentimentali, sono sfaccettati e sfumati (il confine tra attrazione, amicizia e amore è definito eppure, in un certo senso, sfumato, sembra una contraddizione ma fidatevi che non lo è, in fondo, perché l’amore non preclude l’amicizia e l’attrazione) e soprattutto sono contrapposti al modello predefinito del matrimonio di successo, ovviamente etero, che pure viene descritto in tutte le sue contraddizioni: David e Megan in un certo senso ricalcano lo stereotipo dell’avvocato di successo e della sua moglie-trofeo, eppure lo ribaltano, rivelandosi i personaggi più soffocati da lacci che pure non ne smorzano le personalità forti.
Dall’altro lato dello spettro delle possibilità per Carlos, uno dei protagonisti, c’è Zain, che gli mostra una via, una possibilità di fuga da quei lacci, la possibilità di costruirsi un’identità professionale che sia più vicina al suo Io.
E poi ci sono Viv e Bj, i due fratelli legati a doppio filo da un passato doloroso (che però ferisce e soffoca entrambi in maniere molto diverse) che devono imparare ad accettare loro stessi per primi.
Sullo sfondo un processo che scandisce il tempo della storia, comprimari che promettono di essere ben più di questo, l’idea che sia possibile crescere e definire un destino solo se ci si apre con fiducia agli altri.
Soprattutto a quelli molto diversi da noi, più ancora se sembra che ricalchino uno stereotipo.
Perché tutti i personaggi, in fondo, in questa storia compiono la magia di liberarsi dalle catene dei pregiudizi che li circondano: alcuni, come Raven, lo hanno fatto prima di questa linea temporale e ne hanno fatto la loro ragione di vita; altri, come Carlos, devono imparare a farlo strada facendo.
Perché la società è una gabbia ma noi abbiamo gli strumenti necessari per allargarne le sbarre, per scrivere una grammatica nuova che ci aiuti a raccontare un tempo nuovo.
E già che ho citato la grammatica: vorrei spendere queste parole di chiusura per provare a rendere giustizia allo stile di Micol e Sabrina, che come ho detto in apertura prima ti avvolge e poi ti seziona.
Si ha a volte l’impressione, leggendo, che i loro personaggi abbiano il costante bisogno di vedersi riflessi in uno specchio (o in una foto) per aiutare a comprendersi, per definire i contorni loro e delle loro vite.
E vi posso assicurare che anche voi a fine lettura imparerete a fare lo stesso con voi stessi.
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