RECENSIONE Io, Tituba strega nera di Salem di Maryse Condé

 

Io, Tituba strega nera di Salem


Trama:

Nel 1692 la comunità puritana di Salem, nel New England, fu lacerata da uno dei più famigerati processi per stregoneria della storia. Le accuse, gli interrogatori, le torture e le condanne che seguirono coinvolsero più di centocinquanta persone e culminarono nella condanna a morte di diciannove imputati, in maggioranza donne. La nera Tituba, schiava di origine caraibica di proprietà del Reverendo Parris, fu accusata di istigare le donne e le fanciulle bianche alla stregoneria e ai commerci con il Maligno; la giovane schiava veniva dalle piantagioni delle Antille, e il romanzo a lei ispirato si apre sul luogo della sua nascita, l’isola di Barbada. Tituba è figlia di una donna nera violentata da un marinaio bianco durante la traversata oceanica e, nel corso delle peripezie che sconvolgono la sua vita fin dall’infanzia, viene iniziata ai riti e alla magia da Man Yaya, una vecchia curatrice africana. Da allora, Tituba ricorrerà spesso ai sortilegi e ai contatti con gli spiriti della sua tradizione, per reagire al disprezzo e ai soprusi dei bianchi: tutto il romanzo è così percorso da un’atmosfera di magia e sensualità, ma al tempo stesso è fondato sulla sanguinaria realtà della schiavitù nelle colonie del Nuovo Mondo, delle rivolte di schiavi e della “caccia alle streghe” del Seicento.

 

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Eccomi qui con una nuova recensione. In questo mese di ottobre ho colto l’occasione di leggere alcuni libri che parlano di streghe, che siano dei romanzi o dei saggi mi è indifferente. Ho messo in wish diversi titoli, perché sia che si parli della caccia alle streghe, sia come personaggi nei romanzi, le trovo delle figure estremamente interessanti.

Come ben sapete la figura della strega è legata a quella della donna e in determinati periodi molte donne sono state accusate di essere delle streghe, per sfregio e invidia, come accadde nella cittadina di Salem, ma anche in tanti luoghi d’Europa. Molte venivano accusate per ignoranza, perché erano delle guaritrici, delle donne indipendenti che conoscevano le arti mediche, le proprietà delle piante e come aiutare le persone e, per quanto in molti andassero a chiedere il loro aiuto, temevano questa indipendenza, questa conoscenza che per molti arrivava dal maligno, da Satana in persona. Quando la paura prendeva il sopravvento, le donne venivano denunciate come streghe, anche se non avevano commesso nulla di male.

La caccia alle streghe per lungo tempo è stato un modo per spaventare le persone, intere città, ma soprattutto per togliere potere alle donne, spaventandole e rinchiudendole nelle loro case, cercando in ogni modo di renderle ignoranti, analfabete e alla completa mercé degli uomini.

Ma in zone come l’Africa, come le Barbados, dove le culture si andavano mischiando, le antiche conoscenze, la magia delle donne, veniva trasmessa di madre in figlia, di maestra in allieva. Canti, pozioni, le proprietà curative delle piante, parole che sembravano magiche, ma erano solo di sollievo, preghiere ad antiche divinità. Per l’uomo bianco tutto era sbagliato, conoscenze che arrivavano dal demonio, perché differenti da quelle che avevano loro.

E qui, in queste isole caraibiche, che inizia il libro di cui vi voglio parlare: la storia di Tituba è la storia di una donna esistita veramente, una schiava strappata alla sua terra, portata a Salem e poi accusata di stregoneria.

Per quanto gli eventi del libro di Maryse Condé siano quasi fedeli a quanto letto negli atti del processo a Tituba, la storia è molto romanzata; soprattutto la seconda parte e il finale sono frutto della fantasia dell’autrice, perché se nella realtà dopo essere stata liberata di questa donna sono state perse le tracce, nel libro la sua storia continua, affronta altre avventure, incontra altre persone, ma soprattutto combatte contro tanti altri dolori e perdite.

Il finale di per sé l’ho apprezzato, non si può considerare un lieto fine, ma alla fine la storia di Tituba non è una storia d’amore, ma la sua vita e quella di un mondo dove la maggior parte delle persone era stata presa da una sorta di follia, dove la paura di tutto quello che era differente spaventava, portando ad additare le persone di essere possedute, di commettere azioni atroci perché servitori di Satana.

Tituba come personaggio che mi è piaciuto; è una donna forte, che ha affrontato il dolore, la solitudine e anche la perdita. Prima bambina, poi donna ha combattuto per sopravvivere da sola, anche se in alcuni casi metteva paura agli schiavi della piantagione. In maniera strana ha trovato la libertà, per amore è tornata schiava. Come donna ha combattuto ogni giorno, ha visto la parte più cattiva dell’essere umano, la sua follia, la paura di tutto quello che non conosceva, allo stesso tempo, pur desiderando volersi vendicare, non ha mai oltrepassato quella linea, questo almeno fino alla fine. Ha sempre cercato di ascoltare le parole della donna che l’ha allevata, che le ha trasmesso le sue conoscenze. Loro erano nate per aiutare, non per uccidere. Loro dovevano essere differenti dagli uomini bianchi che sapevano solo odiare.

Il libro è ambientato in un periodo storico particolare: ho amato la parte del libro in cui la protagonista è vissuta alle Barbados, perché si notava la differenza, pur essendoci schiavi, piantagioni e l’uomo bianco attaccato alla sua Bibbia pronto a pensare che vi fosse il diavolo ovunque, chi era nato in quelle terre continuava a vivere pregare le proprie divinità, come se tutto il puritanesimo dell’America, dell’uomo bianco venisse annacquato dalle credenze, dal miscuglio di razze e dalla vita delle isole caraibiche.

Non era più semplice la vita, eppure all’apparenza lo sembrava, o sembrava più felice, ma solo in parte. Perché anche queste isole che ora sembrano dei paradisi dove andare in vacanza nascondevano i loro demoni, i loro segreti e nella loro storia hanno sulla coscienza la morte di troppe persone, schiavi e donne.

L’autrice ha voluto dare un finale magico, anche felice - se lo si può considerare così - a questa donna, a questa strega che ha vissuto sulla sua pelle abbandoni e dolori. 

Nel complesso è un libro che cattura, che trasporta il lettore nelle sue pagine, e soprattutto lo fa star male, ogni volta che Tituba ha paura, che soffre. Ogni volta che si domanda come sia possibile che l’uomo bianco possa odiare i negri, gli schiavi, ma anche coloro che hanno il loro stesso colore di pelle. Perché in lui cova tutto questo odio?


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