Oggi
vi parlo di un romanzo che ci è arrivato un po’ di tempo fa: Cosa ho visto in
te di Federica Marchica.
Arya O'Connell arriva a Bloudefalls, nel North Carolina, per insegnare al liceo
locale e ricominciare a vivere dopo la perdita del suo bambino. Lì, incontra
Alex, studente appassionato di basket e scrittura, con il quale instaura un
legame speciale. Tuttavia, qualcosa in lui sembra non andare: perché i compagni
lo evitano? Perché piange così spesso? E cosa ha a che fare, quel ragazzo
all'apparenza fragile e indifeso, con gli atti di vandalismo e le minacce che
turbano la Bloudefalls High? Arya tenterà di scoprirlo, ignorando le
preoccupazioni della collega Betty, e accettare la verità che andrà svelandosi
davanti ai suoi occhi sarà per lei davvero difficile. Quattro anni dopo,
insieme a nuove e spaventose minacce alla scuola, fanno capolino le figure di
Erin, bellissima capitana delle cheerleader che dovrà fare i conti con la sua
superficialità; Matt, scalatore francese che rappresenterà una grande sfida per
Arya; Samuel, giovane musicista schiavo di troppe dipendenze e Thomas,
misterioso professore che costringerà Arya a farsi domande sul suo passato: c'è
qualcosa che ha cancellato? Perché? Questa volta, Arya è affiancata nelle sue
indagini da Christine, insegnante di storia, e si troverà più che mai vicino
alla morte, arrivando così a capire di avere già smesso di vivere da tanto,
troppo tempo.
Dunque,
ci ho messo un po’ a finire questo libro, e ci ho messo anche un po’ a iniziare
questa recensione. Volete sapere perché? Semplice, la cosa scritta meglio
dell’intero libro è la trama. Leggendo la trama che vi ho copiato qui sopra,
sono rimasta intrigata dal romanzo, da questo alone di mistero che ha coinvolto
i protagonisti della storia. Peccato che, già dalla prima pagina, mi sono
dovuta ricredere. Non posso dare la colpa interamente all’autrice, perché
comunque gli errori peggiori che ho visto sono relativi all’editing e alla
correzione di bozze, cosa che mi aspetto da una casa editrice degna di questo
nome. Sì, perché questo libro non è un self, o almeno non risulta tale, in
quanto è pubblicato sotto il marchio LFA Publisher che si reputa in tutto e per
tutto un editore.
E in
quanto editore, dovrebbe sistemare anche gli errori che un autore può fare, in
primis la punteggiatura riguardo i discorsi diretti. Un autore può anche non
sapere nell’editoria cosa viene usato abitualmente per indicare un discorso
diretto e inventarsi un qualche segno strano (come in questo caso) e usarlo in
tutto il libro. Sta all’editor dirgli che non si usano determinati segni
grafici, che dovrebbe cambiare. Io inizialmente pensavo che quel segno grafico
c’era perché quella che mi è arrivata era una bozza, perciò ho chiesto
all’autrice di mandarmi delle foto del libro stampato (dato che è solo in
cartaceo); quando ho visto che era identico, ho rimuginato molto su come
scrivere questa recensione, perché comunque non è che sia piacevole scrivere
recensioni negative.
Che
io sappia, i segni per indicare un discorso diretto sono:
-
Le caporali (« »)
-
Le virgolette (“ ”)
-
Il trattino (—)
Ciascuno
di questi ha delle regole di utilizzo, che sono più o meno standard in tutte le
pubblicazioni che ho visto in questi anni.
L’autrice,
in questo libro, ha invece usato uno strano segno: -“discorso diretto”. Ora, io
mi chiedo quel trattino da dove se lo sia inventato. Forse lo metteva perché
così word le metteva automaticamente l’elenco puntato (cosa orribile), ma fatto
sta che tutti i discorsi diretti sono segnalati così. Oltretutto, ogni tanto
trattino e virgoletta sono uniti, altre volte sono separati da uno spazio. Non
c’è nemmeno coerenza sull’utilizzo, e questo secondo me è un errore ancora più
grave.
Passando
ai personaggi, ho trovato parecchie cose che stonano. Innanzitutto non riesco a
vedere i personaggi per le età che vorrebbero dimostrare. Parto dalla
protagonista stessa. Ha ventiquattro anni e dice di vedere i suoi alunni come
suoi figli, cerca di dimostrare un affetto materno che io non vedo, anche
perché c’è troppo poca differenza d’età tra lei e i suoi allievi. Potrei capire
se una frase del genere la dicesse una professoressa di circa quarant’anni,
magari qualcuno in più, ma una ventiquattrenne non può dire che vede dei
ragazzi di sedici anni come suoi figli.
Il
tutto viene giustificato dal fatto che ha avuto un aborto spontaneo il giorno
della sua laurea, che le ha fatto perdere un bambino che aveva appena scoperto
di aspettare, che non sapeva nemmeno se tenere o meno. Capisco che possa
esserci stato un trauma, ma non aveva nemmeno ancora realizzato di essere
incinta e ha l’aborto, sorvoliamo da cosa è stato causato (che poi sarebbe
potuto succedere lo stesso anche dopo, chi lo sa), eppure si fa condizionare
tutta la sua vita per questo fatto. Ora, non è che io voglia criticare la cosa,
non so come uno può reagire davanti a un fatto del genere, ma l’ho sentito poco
reale, probabilmente perché Arya ripete in continuazione quanto è stata male da
averne la nausea io di leggerlo.
Altro
personaggio che non mi ha convinto del tutto è Betty, l’insegnante di
matematica. Ora, sarà che tocca proprio la mia materia, ma io negli anni non ho
mai conosciuto nessuna donna appassionata di matematica che fosse una Barbie. Perché
è così che viene descritta, come una Barbie bionda, forse un po’ oca, che è
anche in grado di fidanzarsi con l’ex di Arya, nonostante loro fossero amiche. Veramente,
ho trovato questo comportamento come una stonatura con la materia che
insegnava, mi ha irritato parecchio. Per carità, magari in America ci sono
anche insegnanti di matematica così, ma mi sembra completamente fuori ruolo,
ecco.
Ultima
cosa che non ho capito è perché Alex, dicendo che ama leggere e il basket,
viene completamente isolato dal resto della classe. Cioè, che male c’è se uno
ama leggere? Non credo che lettura e sport siano incompatibili, non ho capito
perché hanno dovuto subito isolarlo (e non l’hanno più reintegrato, anche a
causa del suo problema).
Parlando
della trama, almeno per la prima parte era abbastanza banale, mentre la seconda
era un po’ meglio, anche se era abbastanza ovvio che non fosse di nuovo Alex il
colpevole.
Ho trovato un po’ strano che il libro fosse diviso in due parti:
capisco che il vero finale sia nella seconda parte, ma secondo me si potevano
fare benissimo due libri, senza per forza unirli insieme solo per farlo
sembrare più lungo. Per me ci si poteva dedicare di più ad ogni singola parte,
approfondirla meglio, migliorando anche le cose che ho segnalato prima.
Dico
solo un’ultima cosa e poi giuro che mi fermo, perché altrimenti l’autrice viene
a cercarmi a casa per uccidermi XD Ma gli insegnanti di tedesco, in quella
scuola, sono per forza di origine tedesca? Non c’è nessuno negli Stati Uniti
che studia tedesco pur essendo americano?
Do
due piume a questo libro, perché comunque l’idea era buona, andava solo
sviluppata meglio, con un lavoro di editing che sicuro poteva migliorare
notevolmente il prodotto.
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