Ready Player One


Anno 2045. La realtà è diventata un posto orribile, e buona parte della popolazione mondiale passa tutto il suo tempo su OASIS, un universo virtuale in cui è possibile fare ed essere qualsiasi cosa. Alla morte del suo eccentrico creatore, James Halliday, si scopre che quest'ultimo ha creato una sorta di "caccia al tesoro" basata sulla sua ossessione per la cultura nerd e geek anni 80, sfidando tutti gli utenti a trovare l'Easter Egg che ha nascosto da qualche parte su OASIS. Chi lo trova eredita il patrimonio di Halliday, nonchè il controllo della realtà virtuale.
Wade Watts, un 18enne orfano, dopo 5 anni dall'inizio della sfida è il primo a decifrare il primo indizio. Da lì in poi parte una frenetica corsa contro il tempo a chi riuscirà a raggiungere il traguardo per primo.


Ci sono opere che toccano corde particolari nel cuore delle persone. Alcune ci fanno ridere, altre riflettere. Nel mio caso è stata probabilmente toccata quella dell'esaltazione totale ed assoluta, perchè ricordo davvero poche volte in cui ho provato una simile sensazione leggendo un libro (e in misura addirittura maggiore guardando il film).
Ready Player One non è solo un libro, è una lettera d'amore alla cultura nerd anni '80 (se non addirittura alla cultura nerd in generale).
Vero, il tema trattato non è dei più originali: negli ultimi anni si sono diffuse a macchia d'olio opere ambientate in videogiochi o realtà virtuali, da Sword Art Online nei manga alla serie di Virtnet Runner per i romanzi, ma credetemi quando vi dico che nessuna tratta l'argomento bene come Ernest Cline. Il mondo virtuale da lui immaginato è vivo, pulsante e neanche troppo distante dalla realtà attuale: in fondo non è difficile riconoscere nei set di connessione a OASIS l'evoluzione finale dei visori VR che si stanno diffondendo negli ultimi anni...

Non solo tecnologia, come dicevamo, ma anche e soprattutto citazioni a ripetizione: in quasi ogni pagina del libro vi sono rimandi a fumetti, film, videogiochi e in generale a qualsiasi elemento della cultura generale di quegli anni. Alcune sono molto facili da inquadrare, ma altre invece vi faranno diventare matti: persino io, che mi reputo un fine conoscitore di media in generale, ho fatto veramente fatica ad inquadrare alcune delle citazioni più oscure che compaiono.


Il messaggio finale, per contrasto, è di una banalità unica, anche se purtroppo estremamente adatto ai tempi che corrono, ovvero che per quanto bella e soddisfacente possa essere la vita virtuale, alla fine è nella realtà che possiamo e dobbiamo trovare la nostra felicità. Che non serve avere migliaia di amici nel gioco, ma ne bastano tre o quattro veri. E che in fondo, come succede anche su OASIS, di vita ne abbiamo una sola e sta a noi scegliere cosa farne.

In conclusione, mi sento di consigliare questo libro un pò a chiunque, anche se ovviamente chi lo apprezzerà maggiormente sono quelli della mia generazione, trentenni cresciuti a pane, cinema e videogiochi.



Oppure potreste andare a vedere il film.

Già, in realtà il vero motivo per cui volevo scrivere di tutto questo era per parlarvi del film. Sono sincero: mi avvicino sempre ai film tratti dai libri con un minimo di preoccupazione, perchè dopo tutti questi anni e non so più quante saghe, ormai ho capito che nella trasposizione sul grande schermo quasi sempre si perde buona parte dei contenuti, e che certe storie non rendono altrettanto bene come nei libri (salvo rari casi, come Timeline di Michael Crichton o Stardust di Neil Gaiman, che a mio parere erano superiori alle versioni cartacee).
Ready Player One sceglie una strada ancora diversa: mantiene l'impostazione e la trama di fondo, ma modifica profondamente buona parte dei contenuti, a cominciare dalle tre sfide di Halliday per ottenere gli indizi del gioco. Abbiamo quindi la sfida al cabinato di Joust che viene convertita in una gigantesca gara automobilistica senza regole, la ricerca dei tesori in Zork diventa un caccia surreale sul set di Shining, e tutta una serie di dettagli che viene utilizzata in maniera differente. Sarò all'antica, ma per me vedere un quarto di dollaro funzionare come la leggendaria vita extra di Scott Pilgrim dà una certa soddisfazione.

Poteva essere un disastro e invece a posteriori i cambiamenti si rivelano essere estremamente positivi: la trama ne risulta più leggera e scorrevole, e soprattutto anche le varie citazioni sono più comprensibili per il grande pubblico. Nonostante alcune scelte di sceneggiatura poco comprensibili sul finale, il prodotto viene promosso a pieni voti. Menzione speciale per il personaggio del curatore, creato ad hoc per il film: all'inizio lo consideravo odioso, ma sono arrivato a trovarlo quasi divertente.

Concludendo (e stavolta sul serio), il mio consiglio è il seguente: andate in sala giochi, fatevi un paio di partite a Pac-Man e poi andatevi a vedere questo film. Non ve ne pentirete.




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