Whyborne & Griffin #3: Stormhaven di Jordan L. Hawk


Trama:
Gli eventi misteriosi non sono una novità per il solitario studioso Percival Endicott Whyborne, ma trovare uno dei suoi colleghi che urla per strada chiedendo aiuto è piuttosto insolito. Allan Tambling afferma di non ricordare cosa gli sia successo nelle ore precedenti, ma qualcuno ha assassinato suo zio e Allan è coperto di sangue.


L’amante di Whyborne, l’affascinante ex-Pinkerton e detective Griffin Flaherty, acconsente a dimostrare l’innocenza di Allan. Ma quando il giovane viene dichiarato pazzo e rinchiuso nel manicomio di Stormhaven, Griffin è costretto a rivivere gli orribili ricordi della sua reclusione in un istituto psichiatrico.


Insieme alla loro amica Christine, i due uomini si addentrano sempre più a fondo in un’oscura ragnatela di cospirazioni, magie e omicidi. Il loro unico indizio è un artefatto scomparso che ritrae un dio sconosciuto. Chi l’ha rubato, e perché Allan non ricorda cosa sia successo? E qual è la verità dietro ai terribili esperimenti condotti all’inquietante terzo piano di Stormhaven?


Ci vorranno tutti gli incantesimi di Whyborne e tutta la temerarietà di Griffin per fermare gli assassini e salvare Allan. Prima, però, dovranno sopravvivere a una sfida ancora più grande: una visita della famiglia di Griffin.


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Salve, non sono sparita, ma queste settimane sono state veramente impegnative, pertanto anche con le recensioni sono indietro. Mi spiace, lo so che vi manco con i miei sproloqui (non se la fila nessuno xD), ma veramente è un periodo frenetico. Ho ripreso anche a scrivere, e se scrivo non riesco a leggere e meno che mai a recensire. Sono anche una brutta persona, leggo un libro alla volta e non più di uno contemporaneamente: preferisco in questo modo, così ho il tempo per approfondirlo, per rileggere alcune parti e fare tutto con la dovuta calma. Alla fin fine non è una gara di lettura la mia con non so bene chi, ma un passatempo gradevole per passare le serate davanti alla stufa o i pomeriggi invernali mentre fuori piove. Amo leggere, ma come passatempo e, anche se ho un blog, rimarrà tale, quindi lo farò con i miei tempi. So che a volte le recensioni non usciranno in anteprima, in tempo, so anche che si corre il rischio di non far uscire dei post per alcuni giorni, ma penso che non ci dimenticherete anche se non ci sentite sempre, o almeno lo spero. Poi, oltre ai libri in anteprima sto veramente seguendo il mio unico proposito per quanto riguarda la lettura quest’anno, e se ve lo chiedete non è comprare meno libri altrimenti si impadroniranno di casa, ma leggere di più libri per ragazzi. Ho tanti titoli interessanti, tante riletture da fare, cose di cui parlare, insomma vi tedierò con tante tante cose.
Fatta questa piccola introduzione, oggi sono qui per parlarvi di una serie di cui mi sono perdutamente innamorata, edita dalla Triskell Edizioni; è quel mix tra lo storico e il giallo, con un tocco di mistero e soprannaturale e ovviamente l’m/m, insomma una serie che in molti conoscete e di cui ho recensito già i primi due volumi. Parlo di Whyborne & Griffin: ai link potete trovare le recensioni dei primi due libri, Widdershins e Treshold, che ho amato tantissimo e mi hanno attirato come una calamita per tanti motivi che spiego nelle recensioni. Oggi invece vi parlerò del terzo romanzo di Jordan L. Hawk di questa serie, ovvero Stormhaven.


Voglio partire con il dire che per quanto io mi sia innamorata di questa serie, non la trovo perfetta, ha un piccolo difetto, trovato soprattutto nel terzo romanzo, che di tanto in tanto mi fa storcere il naso, ovvero le insicurezze di Whyborne. Nel primo libro questa sua peculiarità, questo modo in cui è stato caratterizzato, l’ho trovata azzeccata. Lui, inesperto, solitario e timido, pieno di insicurezze già di suo aumentate anche per via del comportamento e della poca considerazione da parte del padre quando era solo un ragazzo; aveva remore anche riguardo alle sue tendenze sessuali, ai suoi sentimenti, alla paura di essere preso in giro da Griffin ed essere usato da lui o peggio, in un periodo storico dove essere omosessuali era un crimine, di essere arrestato. Tutte queste pare sono perfette all'interno del primo romanzo, hanno una motivazione e le ho apprezzate anche nel secondo, dove è comparso un vecchio amante di Griffin, qualcuno che lo faceva sentire inferiore: Elliot dopotutto era bello, spigliato. Era lui quello che aveva insegnato molto a Griffin e non solo come detective, e anche in quel caso, seppur non di mio gusto le ho trovate perfette le pare di Whyborne, i suoi dubbi, le paure di perdere l’uomo di cui si è innamorato, di essere abbandonato per qualcuno più bello, più allegro.
Arriviamo al terzo, quei timori, la paura stessa, le insicurezze non sono affatto diminuite, sono ancora lì nella mente del nostro protagonista, ma a parer mio l’autrice se le sta portando dietro per troppi libri: Griffin ha dato ampia dimostrazione di amare il suo Ival, di tenere a lui, di sceglierlo prima di ogni altra cosa, pertanto pensieri e scene già viste, dal mio punto di vista, oltre a essere una ripetizione infinita delle stesse paure e degli stessi problemi, sono anche un po’ inutili. Comprendo perché siano state inserite in questo libro: con la comparsa della famiglia di Griffin, dei suoi genitori adottivi, il timore di perdere l’unica persona che sembra amarlo lo spaventa, ma ogni volta, girare e rigirare sullo stesso argomento comincia ad annoiare. I due protagonisti si conoscono da un anno, stanno insieme, convivono, man mano imparano a conoscersi; è vero che ognuno di loro ha i suoi segreti e i suoi demoni, ma non si può scrivere un libro sempre intorno alle solite paranoie, soprattutto perché a un certo punto i personaggi devono crescere, cambiare, non possono rimanere sempre statici e legati a un determinato comportamento o a un determinato pensiero.
Whyborne diventa più sicuro per quanto riguarda la magia, il suo ostinarsi a voler imparare incantesimi, eppure per quanto riguarda i sentimenti, il cercare di essere più sicuro di sé, ma soprattutto il fidarsi del suo compagno è ancora ancorato alla caratterizzazione del primo libro. Lo so, non è una cosa facile e veloce da realizzare, ma in questo romanzo l’ho trovato veramente troppo troppo statico.
Finito anche questo punto, dell’unica cosa che non mi è piaciuta dell’intero romanzo, sperando in una crescita dei protagonisti, soprattutto di quello che ci racconta la storia, passiamo ad approfondire questa recensione.
Amo questa serie, l’ambientazione, soprattutto la cittadina di Widdershin, dal quale si sono spostati solo nel secondo romanzo, per poi tornarvi in questo terzo. Amo i suoi vicoli umidi, il rumore del mare, l’essere a metà tra una grande città e allo stesso tempo un luogo chiuso, privato, dove antiche famiglia comandano e fanno il bello e il cattivo tempo. Mi piace come viene descritta, tra i suoi quartieri bene e i luoghi dove si aggirano marinai e operai, vicoli scuri dove nei locali si trova ogni tipo di divertimento e dove Griffin sembra essere a suo agio, mentre il povero Whyborne fa ancora fatica ad ambientarsi.
In alcuni momenti, il modo di descrivere Widdershin mi fa pensare alla Londra vittoriana, alle zone lungo il Tamigi, a quelle sere umide e fumose e ai quartieri dove si mischiano operai e puttane, povera gente e delinquenti; a tutto questo si aggiunge un modo di descrivere il tutto in maniera cupa, inserendo mistero, soprannaturale e quel tocco di ansia che fa rimanere il lettore con il cuore in gola, ma allo stesso tempo non gli permette di interrompere la lettura, deve andare avanti, sapere cosa accadrà nelle pagine a seguire, una dopo l’altra, per poi arrivare irrimediabilmente alla fine.


Questo terzo romanzo della serie però a mio parere è anche quello che affronta i temi più complessi fino a ora. Nei primi si è accennato solamente al fatto che Griffin sia stato internato in un manicomio, ma solo in questo terzo libro si scopre come mai e non solo per via della Fratellanza e del fatto che abbia affermato di aver visto delle creature mostruose.
In maniera delicata, attraverso le paure di Griffin, l’autrice ci parla dei manicomi, di come all’epoca fosse semplice far internare qualcuno, ma soprattutto dei motivi per i quali le persone potevano essere rinchiuse, non solo il delirare di aver visto delle creature mostruose che hanno ucciso un caro amico, un partner con cui si è lavorato a lungo. Quello che lo ha tenuto prigioniero, che lo ha fatto stare rinchiuso, che lo ha portato a soffrire e a essere torturato sono state poche parole sulla sua cartella clinica: devianza sessuale. In questo modo la Hawk spiega cosa accadeva a chi non seguiva le regole imposte dalla società, quanto fosse più grave come “malattia” essere attratto da un uomo piuttosto che vedere cose che gli altri pensano siano solo allucinazioni. Ma soprattutto parla, senza fortunatamente descrivere, di cosa accade a chi è rinchiuso: senza diritti, senza protezioni sono in balia di ogni maltrattamento fisico e mentale. Tramite le descrizioni, gli atteggiamenti, ma anche tramite la paura di Griffin anche solo di avvicinarsi al manicomio di Stormhaven, pian piano viene tutto a galla, quel passato misterioso di cui l’uomo vuole rivelare poco o nulla.
Altro punto che la Hawk descrive alla perfezione è il modo di pensare dell’epoca, di come gli uomini, le persone e le stesse donne vedano le altre donne.
Ci sono alcune parti del romanzo che mi hanno fatto rabbrividire, quel che la cugina di Griffin riferisce, parlando con Whyborne, sul fatto che studiare non le sarebbe servito a nulla, non per mandare avanti una casa e occuparsi di suo marito. Un altro punto che mi ha fatto venire i brividi è quando la famiglia stessa di Griffin chiede allo stesso Whyborne se fosse lui l’archeologo, colui che ha scoperto la tomba in Egitto, e continuano a chiedere anche quando affermano che l’archeologa è Christine, che è lei che ha portato avanti gli scavi e dato ordini, come se fosse una cosa impossibile. Altro punto è quando si parla di matrimonio, di come la madre di Griffin accenni al fatto che Christine sia quasi troppo vecchia per avere dei figli, pertanto avrebbe dovuto sposarsi il prima possibile, e anche lasciare il suo lavoro dopo il matrimonio, perché erano tutte sciocchezze.
Poche frasi, poche descrizioni, messe quasi casualmente, perché non sono il perno del libro, della storia, anche se descrivono alla perfezione la società dell’epoca e fanno vedere quanto fosse difficile la vita per le donne, per tutte coloro che non si volevano omologare alla società, che desideravano qualcosa di differente oltre il matrimonio e dei figli.
Persino all'interno del manicomio, dove sono rinchiusi uomini e donne, c’è una differenza tra i malati, tra coloro che sono rinchiusi lì; lo psichiatra che si occupa di loro considera le donne meno degli altri, con una mente meno forte, meno sviluppata.
E poi per tutto il libro c’è Christine; non una protagonista, ma piuttosto una comprimaria, eppure spicca su tutti, in alcuni casi anche sui personaggi principali per via del suo carattere forte, delle sue convinzioni, per via della sua forza, di aver combattuto per quello che sognava fare, ma soprattutto perché combatte sempre anche per essere chiamata dottoressa, per far comprendere agli altri che è brava come archeologa, come scienziata, come un uomo se non di più.
Christine è anche il personaggio che ritengo sia caratterizzato meglio, almeno in questo terzo romanzo. Non so, potrebbe essere per via di altre letture, ma anche per via di Ariadne e per la sua passione per l’archeologia; è il suo lavoro dopotutto, ma alcune frasi della donna mi hanno fatto riflettere, mi hanno fatto pensare a come il suo personaggio sia stato studiato e costruito accuratamente, ma soprattutto come quel che dice sia la realtà. Come sia difficile per una donna affermarsi, ma non solo: c’è qualcosa di molto attuale, visto che i tombaroli e i predatori di tombe sono sempre esistiti. Una delle affermazioni che la stessa Christine fa è un discorso che proprio con la stessa Ariadne abbiamo affrontato, o meglio lei mi ha dato delle informazioni, delle conferme anche per via di un documentario che casualmente ho visto e io ascoltavo, visto che a riguardo ne so poco e nulla. Comunque, grazie proprio ad Ariadne mi sono accorta di come le ricerche riguardo i reperti, il modo in cui ne parlano, ma anche di come cercano di salvarli da chi li vuole rubare per denaro sia un discorso molto attuale.


Tirando le somme, tutto il romanzo è decisamente attuale; anche se ambientato in un’epoca differente, tratta argomenti importanti, parla in modo semplice, senza mai uscire fuori dalle righe di problemi che affliggono l’uomo e la società da sempre, facendo venire in mente di come sia difficile per tutti essere differente, cambiare, affrontare il mondo. E soprattutto come può esserlo per Whyborne e Griffin che, pur amandosi, non possono esternare i loro sentimenti in pubblico, non possono essere una coppia come tutte le altre, perché il loro amore in quel periodo storico, oltre a non essere compreso, oltre a farli sentire sbagliati, per gli altri era anche un crimine. Qualcosa di abominevole che li avrebbe portati in prigione o in un manicomio, in entrambi i casi in luoghi dove sarebbero stati maltrattati, derisi, picchiati.


Per quanto possa essere un libro paranormal, con elementi soprannaturali e fantasy, Stormhaven porta all'attenzione del lettore moltissime tematiche che non sono affatto fantastiche, tutt'altro: sono problematiche che la società si trascina dietro ancora oggi, da molto tempo.
Anche l’elemento fantasy, il modo in cui queste creature degli abissi cercano di essere evocate, mi ha fatto riflettere, e ho apprezzato moltissimo il modo in cui ha descritto il tutto l’autrice, il modo in cui ha descritto gli uomini, come sono: vendicativi e assetati di potere, pronti a usare qualsiasi cosa per raggiungere i loro scopi, ma soprattutto pronti a calpestare chiunque senza voltarsi indietro.
Altro punto a favore del libro è il modo in cui tutto viene descritto, come si alterna il presente, le vicende, le indagini, ai sogni di Whyborne, a queste immagini di un mondo negli abissi in cui crede si nascondano delle creature pericolose e malevole, creature potenti che cercano di trascinarlo via e fargli del male. La domanda che ci si pone per tutto il romanzo è: ma sarà veramente così?
Saranno proprio quelle creature a cercare di impadronirsi della mente e del corpo degli esseri umani e, in quel caso, cosa vogliono fare sulla terra?


Vorrei parlare ancora di questo romanzo, ma credo mi fermerò qui, per evitare ulteriori spoiler, e per evitare di rovinarvi il finale. Posso solo dire che Jordan L. Hawk non si smentisce mai; anche questa volta è riuscita a creare un’ambientazione cupa, uggiosa che si avvertiva pagina dopo pagina. Un libro malinconico, dove i pensieri dei personaggi, i loro dubbi, preoccupazioni, si mischiano alla paura di quel che sta per accadere, di poteri soprannaturali nascosti nell’ombra pronti a distruggere ancora il mondo, per poi arrivare a un finale che lascia senza fiato, mentre tutto quello che ci sembrava aver capito viene stravolto di nuovo.
Libro consigliatissimo, leggetelo, perché merita le quattro piume che gli assegno e non vedo l’ora di avere tra le mani quello a seguire e credo ogni altra cosa che abbia scritto la Hawk.



Commenti

  1. Bellissima e lunghissima recensione... interessante la tua analisi sulle insicurezze che vanno a noia e ho capito il tuo punto di vista, spero di leggerlo presto e dire la mia ;)

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    1. Diciamo che sono un po' ripetitive, ma forse sono io, però il libro è molto bello, ci sono spunti interessanti e vengono trattati molto molto bene.

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