Trama:
Pur avendo puntata addosso l’attenzione di un pericoloso stalker, l’agente speciale Jason West sta facendo del suo meglio per concentrarsi sul lavoro e ignorare i problemi personali.
Il suo caso più recente implica però il coinvolgimento di un membro dei Monuments Men nel furto e, forse, nella distruzione di un dipinto perduto di Vermeer che fa parte del patrimonio culturale mondiale. Il capitano di corvetta della Naval Reserve Emerson Harley, oltre a essere stato un eroe della Seconda guerra mondiale, era il nonno di Jason, il suo idolo d’infanzia. Anzi, ha giocato un ruolo importante ispirandolo a entrare nella squadra Crimini artistici dell’FBI.
Per Jason, venire a sapere che il leggendario nonno potrebbe aver chiuso un occhio sul fatto che i soldati americani, alla fine della guerra, abbiano “affrancato” opere d’arte inestimabili non è solo spiacevole. È devastante.
Jason è deciso a riscattare il nome del nonno, anche se questo significa infrangere lui stesso un po’ di regole e disposizioni, mettendosi in rotta di collisione con il suo partner nella vita, il capo dell’Unità analisi comportamentale Sam Kennedy.
Nel frattempo, qualcuno nell’ombra temporeggia…
***
Ci sono diversi temi ricorrenti, in questo quarto romanzo della serie L’arte del delitto: l’etica, la fiducia, ma soprattutto la sopravvivenza di ciò che è importante prima ancora di bello, sopravvivenza che dipende unicamente da noi, dalle nostre azioni, dalla nostra personale scala di valori.
Non vedevo l’ora di poter recensire questo romanzo e ora che ho finalmente l’opportunità di farlo qui su Piume mi sono interrogata a lungo su cosa davvero valga la pena raccontare al lettore e cosa, invece, era importante mettere a fuoco per me personalmente.
Perché, come ho avuto modo di dire nella recensione de Gli omicidi del mago, questa serie per me ha un valore speciale, e lo ha ancora di più questo volume, non fosse altro perché leggerlo in inglese quando è uscito un anno fa mi ha aiutata a superare un momento in cui i miei problemi di salute si erano particolarmente aggravati.
Ma, appunto, tutto questo ha a che fare con me e non con i lettori, quindi lo lascio debitamente da parte per concentrarmi su quelli che potrebbero essere motivi validi per chiunque ami la lettura per leggere Gli omicidi dei Monuments Men.
Riparto da qualcosa che ho scritto in occasione della recensione de La nostra isola di Manuela Chiarottino: per quanto mi riguarda il romance non ha bisogno di essere necessariamente impegnato per avere bisogno di legittimazione, è un genere che esiste com’è e va benissimo così.
Diffido di quello strisciante maschilismo che vuole che tutto ciò che è fatto a uso e consumo del divertimento femminile sia frivolo, sciocco, privo di valore: il divertimento delle donne, la loro voglia di leggere e scrivere di sesso, di dare forma e voce alle loro fantasie sessuali, è già importante così.
Tuttavia amo quelle autrici che riescono a parlare di temi importanti anche attraverso un genere di puro intrattenimento, capaci, proprio come la Lanyon in questo romanzo, a mescolare assieme l’elemento erotico/sentimentale con un mistery ben confezionato (pure se non esente da qualche piccola sbavatura). Gli omicidi dei Monuments Men è il migliore della serie, l’unico in grado di competere con l’inarrivabile I delitti della sirena: e non a caso è un testo speculare a quello.
Jason in questo romanzo si trova nella posizione in cui si trovava Sam nell’altro, e proprio il non rivelarsi ciò che ci si aspetta è uno dei temi portanti della narrazione.
Cosa succede quando la persona che ami, che sia il nonno che ti ha cresciuto o la persona amata, non si rivela essere, o sembra non essere stata, la persona che hai sempre creduto che fosse?
Che i Monuments Men non siano stati quei campioni di correttezza non è un’invenzione della Lanyon, ma un fatto storico accertato: basterebbe leggere un testo come L’orologio di Orfeo per comprendere come certi musei americani si siano rivelati, alla lunga, quasi più avidi degli ufficiali nazisti.
Da persona che si occupa da vicino di questi temi la prima cosa che ho dovuto imparare è che nessuno è irreprensibile, nemmeno quelle istituzioni che tanto ci tengono a mostrarsi così al grande pubblico.
Jason è disposto a sacrificare la carriera per riabilitare il nome del nonno tanto amato, ma è davvero così importante? Suo nonno sarebbe stato poi così d’accordo?
Soprattutto: che conseguenze avrà tutto questo sul rapporto con Sam Kennedy?
Ecco, a questo proposito una cosa che ho amato di questo libro è proprio il fatto che Jason, che tanto ama il proprio lavoro all’ACT, non subisca minimamente il fascino del Kennedy Capo dell’Unità Analisi Comportamentale: ovvio che lo rispetta e, a suo modo, ne segue le orme, ma senza il timore reverenziale di chi spera di essere ammesso nella sua squadra.
E questo è un problema anche per Sam che, al contrario, è sempre stato circondato da persone che farebbero di tutto per compiacerlo dal punto di vista professionale.
Come al solito l’elemento più realistico della serie è proprio l’elemento umano, la relazione non facile tra due persone non facili.
Un gap tra due persone adulte, che esula dai cliché del genere, in cui quello che conta è la voglia di lottare nonostante tutte le difficoltà, dalla distanza al lavoro che si mangia entrambi, dai caratteri così diversi all’incomunicabilità.
Jason e Sam sono tutt’altro che perfetti, tutt’altro che eroi, e la Lanyon ce li racconta anche e soprattutto attraverso le debolezze e gli errori, le ferite che si infliggono e il modo in cui, nonostante tutto, provano a curarle.
Sullo sfondo resta un dipinto perduto di un artista che è veramente un pezzo della storia dell’Art Crime, Vermeer, che la Lanyon dimostra di conoscere bene.
Ma anche in questo caso la “caccia al tesoro” non ha nulla di epico, è l’avidità a emergere con prepotenza, anche di coloro che dovrebbero avere a cuore il bene dei capolavori dell’arte perduta.
Come ho scritto più sopra, Gli omicidi dei Monuments Men non è un romanzo perfetto, ma proprio per questo è un grande romanzo, capace di intrattenere e far riflettere senza pretendere di fare la morale.
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