Carne mangia carne di Andrea Monticone



Trama:


Una ragazza fatta a pezzi, un pensionato dal cuore strappato. In una Torino blindata dal Coronavirus, il colonnello Sodano deve affrontare la mafia nigeriana.
Lo scrittore devolverà i diritti d’autore di questo volume a sostegno della Croce Rossa Italiana, in prima fila nell'emergenza.


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Delle volte si arriva a leggere alcuni libri per caso. Di un determinato autore se ne ignorava l’esistenza, fino a quando non ci si scontra quasi per caso con una piccola casa editrice che pubblica thriller molto molto particolari.
Ed è quello che è accaduto a me; Buendia Books l’ho intravista diverse volte sia su Instagram che su Facebook, ma andando sempre di corsa non mi sono mai soffermata sul loro catalogo. Quando poi ne ho avuto il tempo eravamo in pieno lockdown e tutto quello che riuscivo a leggere erano cose molto molto leggere, qualche romance molto erotico. Ho provato a mettermi in paro con alcuni thriller che avevo, ma non era il momento. E per una che scrive noir e thriller, inizialmente ho preso la situazione veramente male. Fino a che, dopo qualche settimana, non mi sono rimessa in sesto e ho ripreso con i miei ritmi. Quindi alla fine ho dedicato le giornate a casa, a recuperare lavori, letture che ho lasciato indietro e recensioni. È stato proprio in questo periodo che ho incontrato, o per meglio dire scoperto, questa piccola casa editrice. Ed eccomi qui che mi sono innamorata dei suoi lavori. Lo so, al momento quelli letti sono solamente due, ma non posso farci nulla, è così.
Quando è arrivata la mail con questo piccolo libro, ero indecisa; prima di questo ce ne erano altri, si poteva leggere, senza aver mai letto qualcos’altro con gli stessi personaggi? Magari c’erano riferimenti o citazioni.
Ok, mi sono fatta mille dubbi, che sono svaniti nel momento in cui ho scritto: “Ok, sono interessata a leggerlo e recensirlo.” Questo anche quando un’altra blogger aveva fatto uscire la recensione del racconto, decisamente molto molto entusiasta.
Visto che è una blogger brava di cui mi fido tantissimo, mi sono detta, ma sì. E non me ne sono affatto pentita.
Come ho detto, ci ho messo un po’ per mettermi a paro con alcune letture, quindi le recensioni non escono mai in anteprima, però eccomi qui, che pian piano leggo tutto, e leggo per piacere e non perché devo recensire. Mi diverto a chiacchierare di libri, ma con i miei tempi, quindi portate pazienza.
Ma ora passiamo a questo racconto, perché alla fine non lo si può definire un romanzo, è una storia breve, ma nella sua brevità colpisce il lettore, sia per gli eventi di cui tratta, ma anche per il periodo in cui è ambientata. Da quanto ho capito dalla mail di presentazione che è arrivata, l’autore ha fatto delle piccole modifiche, per far muovere i personaggi della sua storia in una Torino silenziosa, dove le persone sono bloccate in casa per via del lockdown, e una pandemia in corso rende tutto molto più cupo, più pauroso, eppure allo stesso tempo sembra che i personaggi di questo libro non se ne curino, come se vivessero una vita parallela; anche in circostanze normali si muovono nell’ombra della società, lontano da tutti gli altri, cercando di integrarsi nel paese in cui si sono rifugiati, mantenendo allo stesso tempo la cultura della Nigeria. Rimanendo attaccati alla loro cultura, alle loro origini, a quella divisione di “tribù” che li allontana e li rende dei nemici, pronti a sfidarsi per il potere, per comandare. Quello che mi ha lasciato veramente di sasso, la crudezza in cui è stato descritto, è il modo in cui trattano le donne. Oggetti, non persone che possono decidere. Quello “o scopi o muori” mi ha raggelato, come pensare che l’unica scelta che le donne arrivate nel nostro paese hanno sia di finire in strada. Per loro doveva essere l’unica occasione di scappare da una realtà pericolosa, cercando un la salvezza, un luogo dove poter stare meglio. Invece finiscono a prostituirsi, prendendo tante, troppe botte se non lo fanno. Venire uccise, barattate, come se fossero degli oggetti. 
Il racconto che ho avuto tra le mani parla di un periodo cupo, difficile, che abbiamo attraversato tutti, ma non è solo quello; parla di chi non era rinchiuso a casa ma ha continuato a portare avanti il suo lavoro, descrivendo i crimini, gli omicidi, la fine di due povere persone, nella maniera più cruda, dolorosa. Il terrore trapelava dalle parole di quella povera ragazza, nel momento in cui si era resa conto che sarebbe arrivata la fine, quando la libertà sarebbe stata una vera chimera, quando non avrebbe più rivisto suo figlio.


Il libro di Andrea Monticone è stato una vera scoperta, qualcosa che mi ha catturato per il suo stile, per la crudezza degli eventi, ma anche per la realtà di quello che descrive, di cui ci parla. Ho apprezzato i suoi personaggi, proprio perché reali, con pregi e difetti. Con le luci e le ombre, e quelle debolezze e paure che trapelano pagina dopo pagina. Mi sono presa anche una piccola cotta per il colonnello Sodano, anche se è un carabiniere e non mi sono simpatici.
Ho apprezzato i personaggi, lo stile, ma anche il modo di descrivere il tutto, la città di Torino, il silenzio che aleggia per le strade, come se fosse una città fantasma, un luogo deserto. Quello stesso silenzio che era calato ovunque nel periodo di lockdown. Un silenzio contrapposto al locale dove il protagonista si ritrova per indagare, un luogo che non dovrebbe esistere. Un posto che in quel caso sarebbe dovuto essere chiuso, eppure, proprio come per la cultura, anche le leggi sembrano essere differenti per alcune persone. Sembrano muoversi su una linea sottile, che valica la legge, cercando di essere il più invisibili possibili.
Una lettura interessante, un vero peccato aver iniziato questa serie di libri dall’ultimo uscito, ma appena avrò un minuto di tempo recupererò gli altri.
Per ora ne consiglio vivamente la lettura, agli amanti del thriller, del noir, e di chi ama quei personaggi che vivono fuori da ogni schema, da ogni regola.

Cinque piume.



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