Akuaba di Francesco Staffa


 

Trama:


Un’ombra dal passato oscura gli sguardi di Guido e Ada. Oggi, quel passato bussa alla porta, affiorando dal luogo dove trent’anni prima, in Nigeria, tutto è iniziato. È proprio dal paese africano che prende il via una vicenda in cui migrazioni, neocolonialismo, corruzione e manipolazione si intrecciano a un groviglio di passioni, desideri, ambizioni inseguite a qualsiasi costo. Dopotutto, chiunque è costretto, prima o poi, a perdere l’innocenza per cedere alle proprie ossessioni, per annullarsi, per perdere la propria anima.

Ambientato tra Roma e Lagos, tra il litorale laziale e la misteriosa foresta di Osogbo, Akuaba mette in scena le ossessioni e le debolezze dei suoi protagonisti, dalla dilaniata Amma al tormentato Adebisi, dall’inquieta Fabiënne al cinico Franco, dalla posseduta Ada al soggiogato Guido. Sospeso tra noir e cronaca, Akuaba mostra le contraddizioni che albergano in ogni essere umano per riflettere sul disperato bisogno di imporsi, anche a discapito dell’altro da sé.


«Conosceva quel ciondolo, era un amuleto diffuso. Una protezione che le donne indossavano per favorire la gravidanza e per assicurare salute e bellezza al nascituro. Un oggetto rituale capace di infondere forza e sostegno. Akuaba, così si chiamava»


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Alcune volte le belle storie arrivano per caso, quando meno te l’aspetti e soprattutto quando sei lì lì per non leggerle, troppo oberata da arretrati e cose da fare. Poi non so bene come, la curiosità prende il sopravvento, e alla fine, anche se ci si sente un pochino in colpa perché si continuano a lasciare indietro altre letture, decidi che la storia di quel libricino ti incuriosisce, che sia la trama che l’ambientazione sono qualcosa che ha acceso una scintilla e così eccoti lì a leggerlo, ignorando tutto il resto. Sinceramente, quando poi devi dire cosa ti ha attirato non sai nemmeno dirlo con precisione: la trama, la cover, il titolo forse, tutto l’insieme di cose. O forse è solo arrivato il libro giusto al momento giusto.


Akuaba è un romanzo che mi ha lasciato una strana sensazione addosso. Francesco Staffa mi ha catturato con il suo stile, diretto, essenziale, di certo non poetico, eppure efficace per quello che sta raccontando, per i luoghi in cui ha ambientato la storia, il periodo e anche gli avvenimenti.

Avevo segnato tante pagine, tante cose di cui volevo parlarvi, ma poi i post it hanno incontrato un piccolo uragano di tre anni a cui non ho saputo dire di no e che prende la mia borsa come se fosse un mix tra quella di Mary Poppins e un pacco regali, e quindi ecco che i post it colorati sono svaniti tutti. Quindi questa recensione sarà molto a braccio, sperando di ricordarmi di tutto quello di cui vi vorrei parlarvi.


Partiamo da come è stato impostato il romanzo; inizia con due personaggi principali della storia, loro due chiacchierano, parlano tra di loro, ma allo stesso tempo sembra che un’ombra si sia avvicinata sulle loro vite fino a quel momento serene. Siamo al presente e nessuno dei due immagina che i ricordi, ma soprattutto il passato, si presenteranno a chiedere il conto.

Da qui la storia è costruita attraverso diversi punti di vista, ma soprattutto attraverso dei salti temporali che però a modo loro la portano avanti alla perfezione, dove il lettore non si perde, ma rimane legato agli eventi, a quanto è accaduto nel passato, a quanto è stato detto. Penso che sia proprio questa la bravura dell’autore, ovvero portare avanti una storia non solo attraverso punti di vista differenti, ma attraverso dei salti temporali che a volte sono di diversi anni, in alcuni casi di pochi giorni, in altri si torna indietro di mesi, eppure, in ogni capitolo, tutti gli avvenimenti sono legati e coesistono alla perfezione.


Per quanto riguarda i personaggi di questo romanzo, mi è sembrato di affrontare un libro noir, una storia dove chiunque appare al lettore come protagonista o personaggio importante si muove lungo un filo che lo può portare tranquillamente su una cattiva strada. Non sono personaggi perfetti, gli eroi dall’armatura scintillante, tutt’altro, ma ognuno di loro ha pregi, ma soprattutto difetti. Difetti che vengono a galla man mano che si legge la storia, che ci si addentra tra le pagine di questo libro, attraverso gli anni e la storia di Ada e Guido, Fabiénne e Franco, ma anche quella di Amma, che forse è la più sofferta, l’unica la cui vera colpa è stata quella di fidarsi e peccare di ingenuità. Tutti gli altri invece sono personaggi che hanno un lato oscuro, si potrebbe definire quasi malvagio. Un lato egoista che affiora sempre di più man mano che la storia va avanti.

Ognuno di loro apparentemente ha i suoi motivi per comportarsi in un determinato modo, eppure allo stesso tempo non sono personaggi buoni, non sono personaggi positivi quelli che il lettore incontra. Lo stesso uomo misterioso, di cui non conosciamo inizialmente il nome, non è una figura positiva: anche lui ha le sue motivazioni per comportarsi in un determinato modo, ha i suoi segreti e soprattutto un odio che si porta dentro da troppi anni.


L’intero romanzo poi viaggia su due piani, o almeno è l’impressione che ha dato a me, quello reale, con avvenimenti e comportamenti così veri che mi hanno lasciato basita. La maggior parte della storia è ambientata a Lagos in Nigeria, in un periodo storico dove in molti, da altri stati africani, vi si sono trasferiti, perché i giacimenti petroliferi avevano creato posti di lavoro, posti di lavoro che sono spariti nel momento in cui i giacimenti hanno iniziato a finire; ed ecco che improvvisamente il nemico, chi portava calamità al paese, è lo straniero, colui che viene da fuori, da un altro paese. I discorsi, quelle parole, mi sembrava di sentire il tg in questo periodo o le persone quando sono al supermercato. Puoi cambiare paese, ma la paura per lo straniero affiora sempre, come l’incolparlo di tutto quello che va male.

I riferimenti ad avvenimenti, al periodo storico, agli anni in cui è ambientata la storia, poi rendono tutto molto vivo e realistico. Come quello che accade ad Amma, un altro personaggio della storia, oltre a essere vero è doloroso. Mentre leggevo di lei, della sua paura, di quanto le accade, di come in quanto donna e in quanto straniera viene considerata solo un oggetto da vendere, di cui abusare, mi ha fatto veramente infuriare.

Il periodo in cui è ambientato il libro è differente, trent’anni, quasi quaranta da ora, eppure quello che viene descritto tra le sue pagine, quelle parole, molti comportamenti li rivedo nel mondo di oggi, tra le persone di oggi, come se nulla fosse cambiato, come se fossimo ancorati in un passato che mai ci porta avanti.


L’altro piano del libro, quello che vi ho visto io, è quello surreale, le leggende, il folclore, il sogno, che sembrano guidare i personaggi, come se ci fosse una divinità, una creatura mistica che gli sussurra parole criptiche e allo stesso tempo li spinge verso la direzione che desidera. Questo elemento molto suggestivo rende la storia ipnotica, quasi magica, tanto da non permettere al lettore di staccarsi dalle sue pagine fino alla fine. Fino a quando non si scopre cosa sta accadendo, per arrivare fino al tanto atteso finale.

Superato metà libro, man mano quando ogni pezzo di questo puzzle inizia a trovare il suo posto, il finale si intuisce, ma non per questo è banale o brutto, tutt’altro è stato un piacere arrivarci, leggere e studiare questi personaggi, muoversi con loro fino all’inevitabile.


Una lettura che mi ha veramente appassionato, la penna di Francesco Staffa è diretta e frizzante, colpisce in pieno, ti cattura per poi trascinarti nella storia da lui creata. Un libro che consiglio vivamente e che merita cinque piume.





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