Trama:
I Ragazzi Smarriti dicono che Peter Pan sia tornato in Inghilterra a causa di Wendy Darling, ma Wendy è soltanto una vecchia vita che Peter si è lasciato alle spalle. L’Isola Che-non-c’è è la sua vera casa. E così, quando Peter torna lì dopo dieci anni passati nel mondo reale, è sorpreso di trovare un’Isola Che-non-c’è che sembra non avere più bisogno di lui.
L’unica persona a cui Peter è davvero mancato è James Hook, il Capitan Uncino, entusiasta di incontrare di nuovo il suo vecchio rivale. Quando, però, scoppia una guerra fra i Ragazzi Smarriti e i pirati di Uncino, lo spargimento di sangue che ne consegue diventa sin troppo reale, e la rivalità fra Peter e Uncino comincia a confondersi con qualcosa di molto più complicato, sensuale e mortale.
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Chi non conosce Peter Pan come personaggio? Penso chiunque, in un modo o nell’altro, lo abbia incontrato nella sua vita, o come libro libro del suo autore J. M. Barrie (Peter e Wendy o Peter Pan, Il ragazzo che non voleva crescere), o semplicemente come Le avventure di Peter Pan, film d'animazione della Disney, che ultimamente ha scatenato parecchio scalpore.
Il punto focale del personaggio di Peter Pan è il suo desiderio di non voler crescere. Vive sull’Isola che non c’è, dove ogni giorno affronta una nuova avventura circondato dai suoi bimbi sperduti, stesso luogo dove un giorno trascina Wendy e i suoi fratelli, perché quei bimbi sperduti hanno bisogno di una mamma.
La storia vista così è decisamente molto classica: ci sono le paure di un bambino che sta crescendo che ama fuggire nelle sue storie, nei suoi sogni, perché il mondo degli adulti ai suoi occhi è così serio, pieno di regole e poco divertente. C’è una bambina, una piccola donna, che ama prendersi cura dei suoi fratelli, raccontare loro storie. Forse il suo desiderio più grande, quello che ha formato tante bambine di inizio secolo, è di avere una famiglia tutta sua, dei figli. Essere una moglie.
E anche se il suo incontro con Peter Pan la porta in un mondo lontano, divertente, che in parte le concede quello che sogna, fare da mamma ai bimbi sperduti, allo stesso tempo Wendy è fin troppo razionale, sa che devono tornare a casa, che arriverà il momento in cui dovrà crescere e diventare adulta.
Il romanzo ha preso forma ed è uscito nel 1911, un periodo in cui la mentalità era decisamente molto incasellata su determinati comportamenti e ruoli; il film disney è uscito nel 1953, anche questo un periodo complesso, dove pur se venivano piantati i semi di un mondo differente, i ruoli di uomini e donne erano più che standardizzati. La chiave di interpretazione di entrambi è semplice: il desiderio di non crescere e le inevitabili conseguenze del diventare adulti. Quindi un modo di vedere la storia, lo scorrere della vita, nella maniera più classica che esista.
E penso che fino a questo momento non avevo pensato a nessun’altra chiave di lettura di questo romanzo. Forse perché non sono una grande appassionata di Peter Pan, tra i classici per ragazzi è quello che mi è sempre piaciuto meno, sia lui che Wendy non mi erano troppo simpatici.
Sarà che è una delle storie con più trasposizioni di ogni genere, un prima, un dopo, la vita dello scrittore, la storia dal punto di vista di Capitan Uncino, ne manca una dal punto di Spugna, sempre che non mi sia sfuggita. E cambiavano i punti di vista, le voci narranti, il tempo passato, ma alla fin fine il punto focale del racconto era lo stesso: quel desiderio di non crescere, o di tornare bambino, di poter essere liberi, fuggire in questa isola nel mondo dei sogni e circondarsi solo di persone consone al proprio modo di essere. Perché è vero che Uncino è il nemico giurato di Peter Pan, ma analizzandolo è nato per esserlo, per rendere quella vita sull’isola un’avventura continua. Quindi alla fine credevo che un’altra storia, un altro racconto ispirato a Peter Pan potesse dirmi ben poco.
Poi, quando Cristina mi ha parlato di questo racconto mi ha incuriosito; mi consiglia sempre delle bellissime letture, tutte nuove scoperte, così quando lo ha proposto al blog ho accettato, sorvolando sul fatto che il libro originale non sia tra i mie preferiti.
E così ecco che arriva Austin Chant che ci presenta una versione decisamente particolare di Peter Pan, che lascia senza parole e allo stesso tempo è talmente reale come chiave di lettura che potrebbe anche essere quella pensata realmente da Barrie quando scrisse il suo. Chi può dirlo?
Da questo punto in poi penso sarà un po’ spoiler la recensione, pertanto vi avverto, ma sono anche del parere che scrivere di questo libro senza approfondire quanto accade sarebbe inutile.
Austin Chant ha creato una versione decisamente particolare della storia di Peter Pan, un dopo, un ritorno di Peter Pan all’isola che non c’è dopo anni di lontananza, dove tutti si chiedevano dove fosse finito e perché.
Tante voci sono girate intorno alla sua partenza, sussurri, ipotesi sul come mai fosse scappato via, avesse lasciato quel luogo, quando decretava in ogni attimo che mai sarebbe cresciuto.
Eppure, il cuore di un bambino rimane tale, la solitudine, il sentirsi incompreso e in alcuni casi fuori posto è qualcosa che abbiamo affrontato tutti, da piccoli e durante la fase di crescita. E così, ecco che, da qualche parte nella sua mente, la versione che viveva sulla terra di Peter lo richiama verso casa, verso la sua famiglia, perché gli mancano, ma soprattutto perché in cuor suo spera che la sua famiglia lo comprenda e lo accetti.
Ma tutto diventa difficile quando da una parte quella famiglia che tanto ti è mancata non ti comprende e tu stesso non capisci cosa ti sta accadendo, e quando ne sei consapevole, quando ti ritrovi a pensare che sia talmente ovvio, per gli altri diventi strano, fuori dagli schemi. Una vergogna per la famiglia.
Ed ecco uno dei punti che questo breve libro affronta: l’accettazione di se stessi. Accettarsi per quello che si è realmente, anche se l’aspetto non è quello giusto. Il combattere per fare in modo che siano gli altri a capirlo, ma è così difficile: lo è ora, figurarsi in un periodo storico poco dopo la Prima guerra Mondiale.
E quindi la paura di non essere capiti spinge a fuggire, ad allontanarsi, con la speranza che forse un giorno tutto cambi, che la tua famiglia ti capisca e ti accetti, ma allo stesso tempo con un unico posto dove tornare, quell’isola nata dalla tua mente, dai tuoi sogni, dove tu sei tu e per gli altri non ci sono problemi, siete amici, un eroe per loro e ti accettano come sei.
Eppure, ricordare casa, anche se manca, fa male. Perché loro non accettano quello che sei, perché nel mondo reale Wendy è una ragazza, mentre sull’Isola che non c’è per tutti è Peter, quel personaggio nascosto in una parte di lei che spingeva per venire fuori, che credeva di aver creato per i suoi fratelli, quando invece è sempre stato dentro di lui, una parte di sé che ha combattuto per venire fuori, per farsi accettare, ma che gli altri non comprendono. Peter è il suo vero Io, quello che gli altri non vedono o non vogliono vedere, che non comprendono, perché la società dell’epoca impone altro.
L’isola che non c’è poi è un luogo creato dalla mente umana, forse da quella di Peter, forse un posto nato per accogliere tutti coloro che sono alla ricerca di un mondo differente, dove non soffrono e dove possono vivere la loro vita come vogliono, senza essere additati come diversi.
In questa stessa isola, giunti per motivi diversi, in tempi differenti è arrivato James, il capitano uncino temuto da ogni lettore. Lui man mano ha dimenticato la sua terra, il suo passato, per diventare il terrore dei sette mari; ma cosa accade quando i dubbi di Peter, i suoi sogni, quell’essere intrappolato tra il mondo reale e quello creato dalla sua mente spingono anche l’uomo a ricordare?
Qualcosa si incrina nel loro rapporto di acerrimi nemici, si trasforma in altro, li porta finalmente ad affrontare la realtà.
Un racconto interessante, che come ho scritto mostra una chiave di lettura differente per la storia di Peter Pan, ma anche per il Capitano Uncino.
Mostra le debolezze dei personaggi del libro, quello che per lungo tempo hanno voluto nascondere, mostra come sono arrivati sull’isola, non per gloria o desiderio di avventura, ma solo per paura della solitudine.
Bello e consigliato. Una lettura perfetta in questo pride month, ma anche in tutti gli altri. Bello bello.
Cinque piume.
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